INTRODUZIONE alle…
Così come la più alta catena di montagne, l'Himalaia, si trova in India, anche la più sublime religione filosofica ha le sue radici nella terra del Gange: mi riferisco alle Upanishad, ovvero all'ultima parte della letteratura vedica. I Quattro Veda, e cioè il Rg Veda, il Yajur Veda, il Sama Veda e l'Atharva Veda, sono seguiti dai Bramani o libri liturgici dell'induismo popolare.
La terza parte dei veda prende il nome di Aranyakas, ed è formata dai libri più antichi, concepiti per coloro che si sono isolati in ritiro, i vanaprasta, i quali, dopo aver sperimentato la vita sotto tutti i suoi aspetti, si sono ritirati nella solitudine e nell'ombra riposante delle montagne e della giungla per riflettere e meditare sui problemi della vita.
La quarta ed ultima parte della letteratura vedica è nota con il nome di Upanishad e contiene l'essenza filosofica concentrata del pensiero speculativo dei Rishis, saggi e santi che rinunciano totalmente al mondo per meditare e risolvere i problemi della vita e della morte. Per questa ragione le Upanishad e la filosofia basata sulla letteratura upanisadica si chiamano Vedanta (che significa Veda-anta, fine dei Veda, la letteratura filosofica conclusiva dei Veda). I Veda, i Bramani, le Aranyakas e le Upanisad formano la letteratura vedica di base della razza ariana, fondamento delle religioni degli Indù, dei buddisti e di altri germogli religiosi minori della razza indo-ariana.
Il vocabolo Upanishad deriva dalla radice Upani-shad, e significa "essere seduto". I prefissi Upa e Ni vorrebbero indicarci il senso etimologico delle Upanishad del riunirsi tutti insieme, sedersi e parlare intorno ad un tavolo. In altre parole, le Upanisad sono il risultato di discussioni e di conversazioni fra coloro che aspirano a Dio, fine ultimo della vita, dialoghi fra maestro e discepolo, fra Guru e Chela. A somiglianza dei dialoghi socratici, il saggio upanisadico, il profeta, pone delle domande ai suoi discepoli al fine di sollecitarli a pensare, ottenendo delle risposte sui problemi fondamentali della vita e sul modo di conseguire la pace dell'anima, la quiete del cuore e l'immortalità. Le Upanishad, o Vedanta, che formano la parte conclusiva dei veda, furono composte fra il 1000 e il 200 a. C. .
Esistono Upanishad autentiche e genuine, altre apocrife, appendici successive ed interpolazioni. Alcuni contano 200 Upanishad, altri 100. Barth sostiene che il numero delle Upanishad può salire a 250, includendo l'Upanishad di Allah che fu composta all'epoca del sultano della dinastia mongolo, Akbar (1542 - 1605). Paul Deussen, uno degli studiosi Occidentali più accreditata, dice nel suo famoso libro, La filosofia delle Upanishad, che la dottrina essenziale contenuta in ben più di 100 Upanishad è esoterica ed è affine alla cultura idealistica ed esoterica greca riservata a pochi eletti.
Max Miller, che può essere considerato il maggior orientalista dell'Occidente, basandosi su 108 Upanishad, ne accetta quali più importanti soltanto le dieci sulle quali Shankara scrisse il commento. E cioè: Brihadaranyaka, Chandogya, Aitirya, Kaustiki, il Taittirya, Kena, Isha, Katha, Mundaka e Mandukya. A queste dieci possono essere aggiunte, a pari importanza, l'Upanishad Svetasvatara, la Maitrayani e la Kaivalya, considerate altrettanto autorevoli ed utili per l'auto-realizzazione.
La religione upanisadica dello Spirito
Contrapponendola alle tre precedenti Parti dei Veda, si può considerare l'intera Upanishad classica come la vera religione dello Spirito. "Dio è Spirito, e coloro che lo adorano devono adorarLo in Spirito e Verità", disse Gesù. E nelle Upanishad si può trovare il commento migliore alla vita e all'insegnamento di Gesù, come del resto quello sui profeti più illuminati della storia.
Nell'Upanishad Brihadaranyaka leggiamo un dialogo con Yajnavalkya, il maggior pensatore delle Upanishad.
Domanda: "O Yajnavalkya, ci puoi dire quanti dei esistono?".
Risposta: "Un Dio [ed uno soltanto]".
Domanda: "Ed allora che cosa ci puoi dire di Agni, Vayu, Aditya, Kala, Anna, Brahma, Rudra e Visnu? Alcuni meditano su uno di loro, altri su un altro. Dicci, quale è il migliore per noi?".
Yajnavalkya risponde: "Questi dei non sono altro che importanti manifestazioni dell'Altissimo, immortale ed incorporeo Brahman (che è puro Spirito). Brahman soltanto è tutto l'Universo. Un uomo può meditare su di lui, e può adorare o anche respingere le altre manifestazioni". (Maitrayani, IV, 5 - 6).
La quintessenza dell'insegnamento upanisadico può essere ridotta a quest'aforisma di Udalaka Aruni al figlio Swetaketu: "Tatvamasi, Tu sei questo", efficacissima massima della Upanishad Chandogya, che rappresenta la matrice e il nucleo di tale dottrina. Altrove nelle Upanishad, la stessa verità è condensata psicologicamente nell'aforisma: "Ayam aatma Brahma, Questa sola anima è la Superanima"; mentre un altro pilastro dell'insegnamento vedantico è: "Sarvam Khalvidam Brahma, l'Universo intero è, in verità, Brahman".
Ma allora, se tutto quest'universo è Brahman e la nostra anima individualizzata è essa stessa la Superanima, Brahman, come si spiega l'essenza dell'Universo? Di dove trae origine? Da chi? Evidentemente i creazionisti, appartenenti per la maggior parte al gruppo delle religioni semitiche, dispongono di una risposta già pronta asserendo che Dio ha creato tutto dal nulla, mentre i razionalisti ritorcono: "Ex nihilo nihil fit, dal nulla non si origina nulla". Di conseguenza, scaturiscono altre teorie in risposta al problema dell'origine dell'universo. E pre-esistenzialisti ci dicono che Dio creò l'universo dalla materia pre-esistente, quella primordiale, la materia prima che è pura potenzialità, non creata e non creabile, ma che serve di base potenziale su cui imprimere le forme, e che produce altri oggetti, trasformando lo stato potenziale in realtà effettiva, i sistemi dualistici, come il Gatha di Zoroastro, ci insegnano a ricondurre tutto ciò che è buono a Ormuzd, il principio del bene, il Dio buono (l'Agathon dei platonici), e tutto ciò che è malvagio a Ahriman, Satana, il principio del male, il Dio perverso, il maligno. Le menti più speculative però, insoddisfatte da questo tipo di dualismo mentalmente esclusivo della teologia zoroastriana, ricercarono l'unità ponendo l'Assoluto al di là del bene e del male e imperniandola sull'Uno indivisibile, l'Assoluto che trascende il bene e il male, la virtù e il vizio, considerando come pilastro Sarvan Akaran, la Causa universale di tutto. Qui gli antichi iraniani si prendono per mano con quei religionisti ariani dell'India upanisadica che postulano lo stesso Uno assoluto al di là di ogni forma di dualismo e di molteplicità. Il Sarvan Akaran della teologia zoroastriana è equivalente al Brahman assoluto, l'Aatman delle Upanishad.
Nell'Upanishad Mundaka ci troviamo di nuovo di fronte a questo concetto altamente esaltante di una religione spirituale, che adora lo Spirito nella verità, senza concedere assolutamente nulla all'ignoranza popolare. Anche le espressioni religiose di massa, consistenti in sacrifici tipo agnihotra, aswamedha, sarvamedha, ecc., sono poste in ridicolo e al loro posto viene reintegrata la religione dello Spirito, che Auguste Sabatier definì, l'apoteosi della religione". Nel suo famoso libro: La religion de l'esprit et la religion de l'authoritè. Tutte le religioni sacerdotali, tutti i sacrifici, i sacramenti, i rituali e le venerazioni vengono dunque trascesi in questa ben più elevata forma di religione spirituale che consiste nello sviluppo delle facoltà speculative volte ad esplorare e ad approfondire gli abissi e le vette dello Spirito di Dio, per rimanere per sempre consapevolmente uniti con questa Realtà ultima che sostiene la creazione intera.
Maya e Satya
La Verità assoluta è una sola anche se si presenta sotto molteplici nomi. "Ekam sat viprah bahudha vadanti, La Verità è una, ma i saggi, i sapienti, l'hanno chiamata con nomi diversi", così dice il Rg-Veda, anticipando in tal modo l'evoluzione storica del pensiero indiano dai veda al periodo upanisadico. Brahman è la Verità unica, la sola Realtà dell'Universo, mentre ogni alla cosa non è che successione di nomi e di forme. Il Noumenon è costituito dalle particelle infinitesimali che galleggiano nell'immensità dello spazio, e da questi sistemi solari e da queste vie lattee che non rappresentano se non un granello di sabbia sulla spiaggia del Tempo e dello Spazio. L'individuo, uomo o donna che sia, sebbene in apparenza vicendevolmente importantissimo, è un nulla di fronte all'Uno eterno anche se l'Uno eterno, il provvido ed amorevole Padre di tutto, ha tenuto conto di ogni capello del nostro corpo e provvede con amore a nutrire ciascuno di noi. E tuttavia l'uomo, nella sua ignoranza, non presta attenzione a quest'Una Infinito la cui conoscenza è amore e non sa che conoscerlo ed amarlo in sé e nella sua creazione è fonte di beatitudine.
Si direbbe che un'illusione cosmica ci avvolga da ogni parte, velandoci la verità e la realtà, spingendoci a seguire il sentiero della Morte e della Perdizione, arrestando il nostro cammino verso il trono dell'Eterno, verso il tabernacolo dell'Altissimo e il santuario della Pace e della Felicità.
Nella filosofia indiana quest'illusione onnipresente ed avviluppante o - se si vuole - questo velo che tiene celate al nostro sguardo Verità o Satya, si chiama Maya. Nella filosofia Occidentale prende invece il nome di fenomeno, quale opposto del Noumenon o Verità. I pensatori di ogni scuola idealistica, i profeti di ogni religione redentrice e tutti i riformatori dell'est e dell'ovest, del nord e del sud, hanno sempre sostenuto come certezza di base che l'apparenza con è realtà, che Maya non è Satya, e che non tutto ciò che luccica è ora. Maya proietta immagini, nomi e forme, ma nasconde lo schermo dietro il quale sta lo Spirito di Dio, Brahman.
In senso lato, tutte le percezioni sensoriali, tutti i dati e i fenomeni verificabili con i sensi sottostanno al regno di Maya. Per l'uomo terrestre, il mondo dei sensi è il più importante e il più reale. Egli tuttavia si nutre di un'illusione quando considera che mangiare, bere, accoppiarsi, divertirsi, distrarsi e soffrire siano gli aspetti più importanti della vita, quelli che la rendono degna di essere vissuta. L'uomo è un estroverso. I sensi lo proiettano all'esterno, dice l'Upanishad Katha, e di conseguenza l'uomo non vede che l'esteriorità. "Ma pochi, mossi dal desiderio dell'immoralità, rivolsero lo sguardo all'interno e trovarono l'Io". Dice ancora la stessa Upanishad. Noi siamo imprigionati dall'Io empirico mentre potremmo emanciparci nell'Io cosmico.
Se l'estroversione è la strada che conduce a Maya, illusione e morte; l'introversione è invece la via che porta a Satya, verità ed immortalità. I sensi non discernenti, nati, alimentati ed esaltati dall'illusione si oppongono alla mente discernente, o intuizione, che penetra in profondità nello spirito delle cose. Maya, o apparenza, glorifica la storia, i movimenti, le agitazioni, le lotte, gli imperi e le personalità, mentre Satya dimora dove hanno sede l'Eterno, la Pace, il Regno di Dio e dei valori impersonali o extrapersonali. In Maya sono dominanti l'Io e il mio: in Satya invece Tu ed Egli detengono la supremazia eclissando l'Io e il mio di quell'essere limitato dai sensi che è l'uomo non redento, nato, cresciuto e morto in Maya. E i tentacoli di Maya verranno recisi soltanto quando l'illuminazione scaturirà attraverso la gnosi, Jnana, auto-realizzazione.
Shankara pone nityamanityavastuviveka ovvero la discriminazione tra l'Eterno e il transeunte considerandola una delle quattro condizioni essenziali per raggiungere l'emancipazione o l'autorealizzazione. San Paolo dice: "Le cose che vediamo sono temporali, mentre il mondo che non vediamo è quello eterno". Il mondo percepito, amato ed odiato attraverso i sensi è effimero, mentre quello invisibile ai sensi e percepibile soltanto con l'occhio dalla mente purificata è il mondo di Satya, della Verità, della Realtà e dell'Eternità. Maya, nel suo aspetto positivo, rappresenta la potenza di Dio nel manifestare l'Infinito in forme finite.
A differenza delle religioni indo-buddiste che hanno enfatizzato al massimo Satya giungendo quasi alla negazione totale di Maya e riducendo la vita emancipata entro i limiti ristretti dell'impersonalità e dei valori informali, le religioni semitiche rivalutano l'apparenza di Maya ponendola sullo stesso piano di Satya, ed anche più in alto della Realtà. Ciò li porta a considerare la nascita dell'uomo come una benedizione e la morte come una disgrazia e a pensare che bisogna godere del mondo dei sensi e scoraggiare l'ascetismo e l'idealismo mistico se non si vuol essere emarginati e tacciati di eresia. Il Cristianesimo e la sua evoluzione in cattolicesimo storico rappresentano una mescolanza degli elementi greco-ariani ed ebraico-semitici, sostenendo la validità sia di Maya sia di Satya, più Satya che Maya laddove predominano gli elementi greco-romani, ma più che Maya che Satya dove prevalgono le influenze semitiche. Il Cristianesimo, dice Paul Carus, autore del famoso Vangelo di Buddha, “insegna la carità senza debellare l'illusione dell'ego". In una parola, Satya è Dio o Essenza di Dio, mentre Maya rappresenta tutto ciò che forma l'Universo creato.
Gioia di vivere
La società dei robot e la tecnologia supermeccanizzata di quest'era atomica e spaziale hanno permesso all'uomo di volare sino alla luna e a Marte ma hanno ucciso in lui la gioia di vivere. Le cose semplice della vita, la brezza e le maree, le selle e le stagioni, i bambini e i fiori, i formicai e gli alveari, la musica della Creazione e la Danza cosmica, tutto ciò e milioni di altri piccoli dettagli della vita hanno perso quasi completamente fascino ed incanto e non esercitano più la loro malia estasiante al cuore e alla mente dell'uomo moderno ormai totalmente integrato in questo mondo di macchine e in questa società meccanizzata. Gioia, Beatitudine e Felicità sono stati mentali, consapevolezza di se stessi e non possesso e godimento di oggetti.
L'oceano della vita è uno e le rocce e i deserti vibrano di vita. In realtà sono tutti "parte di uno stupendo tutto, il cui corpo è la Natura e l'anima Dio". Non c'è felicità al di fuori dell'Infinito e non esiste Infinito per l'uomo se non sul piano di realizzazione. Realizzazione di Dio dunque, o sviluppo dei mezzi infiniti della consapevolezza umana, al fine di raggiungere quelle vette supreme dove si potrà cantare con gli usignoli, volare nell'azzurro con le aquile ed innalzarsi assai di più del più fantastico satellite che mai sia stato lanciato nello spazio.
La vita umana, considerata esotericamente, non è che un breve pellegrinaggio della psiche verso il tabernacolo dell'Altissimo. L'umanità biologica rende l'uomo antropocentrico sotto ogni aspetto, mentre l'esoterismo religioso lo rende teocentrico.
L'antropocentrismo dei nostri razionalisti, degli scienziati e degli umanisti sebbene dia campo libero ad un ulteriore avanzamento nell'ambito delle scienze empiriche concernenti il mondo fenomenico, è ristretto proprio in funzione della loro stessa natura; il teocentrismo invece premia il pellegrinaggio umano offrendogli al termine l'infinito. Tenendo lo sguardo rivolto a Dio e dimorando nel grembo dell'Infinito, l'uomo può riconquistare il paradiso perduto. E questa riconquista significa precisamente la riscoperta che l'uomo è il fanciullo di Dio, l'erede di Dio, nato dalla sua Vita e dal Suo Amore. Il teocentrismo è altresì il mezzo che offre l'infinito dal posteriori, dal mondo empirico e fenomenico, trasformando infatti il corso degli eventi e il flusso dei fenomeni da uno strato privo di senso in uno colmo di significato quando la mente dell'uomo sia stata illuminata dalla luce di Dio. Mentre Platone vide il mondo nell'angolazione di Dio, Aristotele considerò Dio in quella del mondo. Platone conquistò quindi l'infinito sia sotto l'angolazione divina sia sotto quella umana ed ontologica, mentre Aristotele la raggiunse solamente sotto quest'ultima, ascendendo poi all'altezza dell'Essenza divina attraverso la meditazione metafisica sui fenomeni del mondo empirico e scientifico. Platone e i mistici sia d'Oriente sia d'Occidente discesero dalla sommità di Dio all'informe ed oscuro mondo dei fenomeni dai cui tentacoli e dalle cui illusioni cosmiche pervennero ad emanciparsi tramite il magico tocco dell'infinito e muovendosi in armonia con esso.
Non esiste alcuna possibilità di vita gioiosamente positiva senza una certa dose di poesia, di lirica, di rapsodia e di amore rivolti alle vette divine; qualsiasi vita diventa arida come un deserto, monotona, priva di interessi e gelidamente pesante se la luce di Dio non la illumina attraversando quell'intricato labirinto che è la misera esistenza dell'uomo sulla terra. Per questo ogni uomo riceve una piccola frazione di quella Gioia e di quell'Amore infinito che vengono da Dio al fine di dare uno scopo alla propria vita e di orientarsi verso una degna esistenza. Anche l'Amore che lega gli uomini fra di loro e all'altro sesso può diventare gioia positiva e rigenerante esperienza di auto- realizzazione quando si abbia la partecipazione di Dio. In altre parole, coloro che amano sprofondano per un certo periodo di tempo nell'oscurità dell'inconscio voluta dalle costruttive lusinghe naturali ai fini della procreazione e della continuità della vita tramite un occasionale richiamo d'amore, di emozione e di armonia; ma tornati allo stato di assennatezza realizzano che né Amore né Armonia potranno mai scaturire da creatura umana che altro non è se non un'impercettibile increspatura dell'oceano dell'esistenza. L'Amore proviene da Dio o dall'Essenza di Dio che, solo, può essere Esistenza, Amore, Benedizione. E sebbene noi costituiamo una cosa unica con l'Infinito, tuttavia attraverso il velo dell'illusione cosmica, Maya, ci separiamo da Dio e dal resto della creazione. Ed è proprio questo egocentrismo la fonte alla quale far risalire le miserie e le sofferenze, la nascita e la morte. Noi sopportiamo pene indicibili che, nei momenti di ignoranza o Avidya, scambiamo per gioia e beatitudine. Le Upanishad ci offrono ora la chiave per dipanare e sciogliere il mistero della vita realizzando la vera Gioia e la vera Beatitudine.
Si può dunque affermare che la Vita, quand'è compresa nel suo autentico significato, è infinita. Così come la vita di ogni singolo individuo è suddivisa in milioni di cellule che costituiscono il corpo umano, così milioni di esseri umani, sub-umani e sovrumani compongono la Vita cosmica, della quale voi ed io rappresentiamo - al massimo - soltanto cellule diverse e niente più. Ma si voi disgiungete voi stessi dall'amore palpitante dell'Infinito, toccherà a voi soli il biasimo per le miserie che ne conseguono. Andate, morite. Poiché "se un grano di fumento non cade sul a terra e non muore, rimarrà solo, ma se muore darà molti frutti". E Gesù disse ancora: "Se qualcuno vuole seguirmi, dovrà negare se stesso, caricarsi della propria croce e venire dietro di me... Colui che mi segue non camminerà nel buio, ma riceverà la Luce della Vita". Quale Vita? La Vita che significa Infinito, la Vita che è Dio. I cantori e i poeti delle Upanishad ci offrono le basi scientifiche e psicologiche di questa gioia rappresentata dalla realizzazione di Dio.
Quando avevo vent'anni prediligevo fra tutti i ballabili i valzer di Johann Strauss. Ora, a cinquant'anni, la stessa musica mi incanta, ma non più per danzarla con una compagna in una sala da ballo, ma per gustarla solo con Dio nel silenzio di una cella. Posso quindi affermare che le maggiori composizioni dei musicisti che conosco sono creazioni emanate dalle loro menti mentre essi erano in sintonia con l'Infinito, sovente forse attraverso il fascino magico della natura o dell'amore umano. ma noi potremo innalzarci verso tali vette soltanto quando entreremo in sintonia con quello stesso Infinito da cui scaturisce questa gioia, questa creazione musicale, simile alla ritmica musica di Strauss. Le Upanishad ci trasportano dal piano umano a quello divino, dalla danza della creazione, simbolizzata nel Nataraja, alla gioia e alla beatitudine dell'Emancipazione, dell'Illuminazione.
So' Ham, Io sono questo
La civiltà indiana si fonda su quella pietra angolare, quella roccia perenne che è il So' Ham: l'upanisadico Tattvamasi, Tu sei questo. Esprimendosi in prima persona, i profeti indiani dissero: "So' Ham, Io sono questo". Nella seconda persona: "Tat' vamasi, Tu sei questo". Tutto ciò vuol dire Magnavakya, La Grande Parola, poiché su di essa è costruita l'intera filosofia vedantica che non è soltanto speculazione ma anche la via più pratica per raggiungere l'auto-realizzazione.
Verità è soggettività. Realtà suprema è Soggettività assoluta. Alberi e case sono gli oggetti della vista dell'occhio che ne è il soggetto. Ma l'occhio è a sua volta l'oggetto della mente che ne diviene il soggetto. E così ancora, la mente è oggetto della consapevolezza che è soggetto e la consapevolezza, infine, sarà soggetto in quanto sede permanente di testimonianza interiore. E visto che non esistono processi ad infinitum, concluderemo dicendo che esiste un singolo Io universale che è Colui che vede non visto e che ode non sentito, testimone (Sackshi) di tutti i vari stati dell'uomo, sia che costui cammini, sogni, dorma o sia in estasi. L'esplorazione della consapevolezza soggettiva è dunque in pratica assai più importante di qualsiasi sofisticata ricerca tecnologica dell'universo oggettivo che concerna la nostra madre terra, la luna o le stelle o i pianeti tipo Marte.
Il mondo oggettivo tende a proiettarci in una estroversione nella quale ci perdiamo, mentre con la soggettività rivolgiamo uno sguardo all'interno riuscendo a comprendere non soltanto il nostro vero io, ma anche l'universo oggettivo che allo non è se non mera proiezione, emanazione e sovrastruttura di nomi e di Forme su quella Realtà assoluta che, soggettivamente, è chiamata Aatman, mentre oggettivamente, nella filosofia indiana, prende il nome di Brahman. Nello stato noto come Turya, al di sopra degli stati di movimento, di sogno e di sonno, sperimentiamo l'identità dell'Aatman soggettivo con il Brahman oggettivo. Tale realizzazione è espressa sottilmente in quest'aforisma vedantico: So' Ham o Tatvamasi.
Tutto ciò rappresenta Brahman-Sarvam khalvidam Brahma. Il mondo percepito dai sensi è in realtà soltanto Infinito, Brahman. Ma considerato che la mente percettiva è finita, il mondo e l'universo ci sembrano finiti e limitati da nama rupa, nomi e forme. Di fatto, l'intero mondo oggettivo, dei sensi, della mente, dell'intelletto e dell'Io individualizzato - o Ahamkara - è fatto di nomi e di forme e proprio a causa dell'apparente limitazione che nomi e forme gli impongono, è passibile di necessità, contingenze e mutamenti nonché soggetto ad un eterno stato di divenire, in fieri, opposto quindi all'Essere supremo, che sta al di sopra della precarietà dei mutamenti, delle modifiche, della morte.
Esiste dunque un'unica via gnostica, il sentiero della conoscenza dell'identità di noi stessi con l'Io universale, e questa strada ci conduce alla beatitudine, al di là dei confini della paura, della nascita, della morte, delle gioie e dei dolori. Se riuscirete a realizzare la vostra identità con l'Essere, che cosa sarà mai per voi il divenire? E se diverrete un tutt'uno con l'Immoralità che è Dio, l'Assoluto, dove sarà mai per voi la Morte? Non sarete più vittime della malattia se sarete parte stessa della salute. Voi siete la progenie della Beatitudine immortale, e solo l'ignoranza ha gettato su di voi un velo che vi induce a identificarvi con il corpo e con le parti di esso che sono soggette alla nascita, alla crescita, al decadimento e alla morte. Ma anche tu, fratello mio, sei questo. Gesù non ha forse detto: "Io e il Padre mio siamo uno"? Anche tu, mio caro, devi cercare di realizzare questa grande verità e liberarti dalla paura della nascita e della morte, dei mali e della vecchiaia, della povertà e della miseria, per giungere a identificarti con Dio che è la Vita e Beatitudine immortali, Verità e Luce, Potenza, Pace e Felicità.
Le stelle che, alte nel firmamento, stigmatizzano il tuo egoismo, l'orgoglio, la vanità e l'amor proprio, ti dicono: anche noi siamo mortali quanto te, fino a quando non realizziamo il So' Ham. Gli oceani possenti che rombano giorno e notte sulla soglia della tua casa saranno impotenti come lo sei tu nel tuo regno di mortalità finchè non potranno dire So' Ham. Ed anche tu, vagando, fratello mio, dì, ripeti e realizza il So' Ham, e rinasci nel grembo di Dio, diventa uno con "il Padre nostro che è nei cieli" e dì con orgoglio ed umiltà So' Ham, e rinasci nel grembo di Dio, diventa uno con "il Padre nostro che è nei cieli" e dì con orgoglio ed umiltà So' Ham: "Io e il Padre mio siamo uno".
Auto-indagine filosofica
La freschezza perenne e la validità immortale della filosofia di base delle Upanishad risale alla sua presa dimostrabile ed incontrovertibile sull'analisi della consapevolezza umana. Qualsiasi accostamento obiettivo a un'analisi dei fenomeni degli eventi storici e dei dati scientifici e tecnologici ci può indurre a girare in tondo nel labirinto del fenomenalismo empirico, questo incessante flusso di cose e di avvenimenti nel quale la nostra ragione non riesce a trovare alcun significato all'esistenza umana. Ma penetrando nel più intimo santuario della mente dell'uomo, nelle più remote profondità della consapevolezza umana, ci si ritrova faccia a faccia con noi stessi, non come possiamo apparire, ma quali siamo realmente. Prendendo dunque posizione su questa roccia inespugnabile rappresentata dall'auto-indagine e dall'auto-consapevolezza, si potrà vedere un passaggio, un ponto che conduce alla comprensione dell'universo oggettivo, o almeno di questo limitato mondo oggettivo della vita sociale, dei dati scientifici che ci urtano quotidianamente, dei fatti e delle occasioni che generano la psicologia della miseria o della felicità dell'uomo. Questo accostamento è ridotto alla conoscenza che questo vasto universo allo non è se non un oceano della più pura delle pure consapevolezze, e che tutti gli altri esseri della creazione non sono che bolle, spruzzi e schiuma nella loro esistenza di superficie.
Già nel Rg Veda Samhita troviamo un accenno a questo insegnamento idealistico upanisadico, e precisamente nel famoso Purusha Sukta, che dice limpidamente:
"Purusha è in verità tutto questo [Universo che si evolve]. Esso è tutto quanto ci fu nel passato e tutto quanto ci sarà in futuro. Esso è il Signore del Regno della Beatitudine e ha assunto questa forma caduca che è l'Universo manifesto, per consentire agli esseri viventi (Jivas) di raccogliere i frutti delle loro azioni (Karma)". (Rg Veda. X. 90, 2).
Questo è l'onnipresenza di Brahman in tutte le cose, e dovunque e sempre costituisce l'esperienza centrale dei profeti upanisadici. Rappresenta altresì l'esperienza dei saggi mistici di qualsiasi religione, di quei santi che, attraverso la meditazione introspettiva, scoprono le basi reali di tutto quel che c'è nel più intimo delle loro anime, nell'Anima delle anime. Una mente proiettata all'esterno crea pena e sofferenza, mentre quella volta all'interiorità riporta alla pace e alla tranquillità. E` proprio attraverso la speculazione introspettiva che si arriva a scoprire che il proprio io reale non è nessuna delle sovrastrutture che ci ricoprono imprigionandoci, ma piuttosto quella spiritualità interiore ed incandescente e quella luce vivissima che splende dal di dentro. E` in questa esplorazione delle profondità interiori, in questa scoperta della sorgente del nostro vero io, è affondando il fisico nello psichico, lo psichico nello spirituale e lo spirituale nell'Uno eterno, il Buono, il Bello, l'Amabile, che riusciamo a realizzare il nostro vero io che è Aatman, che, al pari di un filo in una ghirlanda di fiori, unisce il mondo interiore a quello esterno, l'intima realtà oggettiva che è la Superanima, con la Realtà obiettiva che tutto permea e che è Brahman, Dio, Spirito di Dio e, al tempo stesso, oggettività trascendente e soggettività immanente, nel regno della consapevolezza.
Questa chiave universale che schiude le porte dell'immortalità e della beatitudine si trova soltanto dentro di noi, nell'autoindagine, nella scoperta di noi stessi. I cantori e i poeti delle Upanisad conobbero il loro io in grado assai più elevato dei seguaci del Gnoti Seauton, Conosci te stesso, della Grecia socratica. Quando infatti, dopo anni di vagabondaggio nel mondo esterno oggettivo, giunsero al cuore profondo dell'auto- conoscenza soggettiva stabile ed immutabile, si fermarono, adorarono, amarono, vissero e conquistarono il loro modo di essere, di quell'Io che tutto pervade.
I Quattro stati mentali
Le Upanishad, erigendosi sull'inespugnabile roccia dell'auto-conoscenza e dell'auto-analisi, ci hanno trasmesso una filosofia che è, al tempo stesso, perenne nel suo messaggio, e redentrice nella sua realizzazione gnostica.
La mente, facoltà di pensiero nell'uomo, e i pensieri, paragonati a fiori e frutti prodotti da quest'albero, sono considerati più dettagliatamente nei loro quattro stati principali: lo stato di veglia, quello di sogno, quello di sonno profondo e senza sogni e il quarto, quello cioè della consapevolezza dell'auto-realizzazione. La Realtà ultima, l'Anima cosmica universale, la Realtà, stanno al di là della veglia, del sogno e del sonno profondo.
"Questo puro Brahman immacolato che sta al di sopra dei tre stati mentali della veglia, del sogno e del sonno, questo Brahman sono io, e non sono la mescolanza degli elementi cosmici".
"Laddove non ci si può vedere l'un l'altro, dove non ci si può sentire l'un l'altro, là è la sede della Super-Anima". (Chandogya).
Applicandosi in uno studio approfondito, si scopre che la differenza fra l'esperienza della veglia e quella del sogno è praticamente nulla, e che entrambe sono irreali e transitorie, risultanza degli oggetti del mondo fisico che ci condizionano e relativa reazione mentale. Sia nello stato di veglia sia in quello di sogno sono sopra presenti le stesse costruzioni, gli stessi uomini e le stesse donne, i timori e le lacrime, i progetti e le passioni e gli stessi desideri. Eccetto il fatto che le esperienze oniriche sono fortuite e di breve durata, entrambe sono sostanzialmente identiche sotto il profilo psicologico, ed irreali sotto quello della metafisica ontologica. Né si può accettare per valida l'affermazione che lo stato di veglia è reale mentre quello onirico non lo è. Al contrario, anzi, per tutta la durata del sogno, le relative esperienze sono assai più vivide e profonde di quelle allo stato di veglia, per la semplice ragione che, nel sogno, la mente, liberata dai fattori condizionanti dell'etica sociale e dalle abitudini di vita comunitaria, può spaziare a volontà, rendendoli quindi assai più reali, più validi e vivi. Si sono registrati infatti casi di morte istantanea causati da incubi che non potrebbero verificarsi durante la veglia quando vengono diluiti ed attenuati dalla logica umana, dal ragionamento e dal condizionamento delle abitudini.
Durante il sonno profondo, il nostro io individualizzato, inconsapevole sia del mondo mentale sia di quello fisico, riposa tranquillo e sereno nella beata dimensione dell'ignoranza, nell'Aanadamaya khosha, dormendo nel grembo dell'universale ignoranza cosmica, o Avidya, e si limita a respirare in un corpo occasionale ed inconsapevole. Lo stato di sonno senza sogni è per l'uomo il più godibile e piacevole, visto che l'esistenza conscia, sia in stato di veglia sia di sogno, non è pura felicità, ma anzi più infelicità che gioia e addirittura soltanto tormento e null'altro, senza traccia alcuna di bene. Tutto ciò si accorda alla prima Nobile Verità del Buddismo che, come affermò Budda è: "Sabe sankara Dutkha, Ogni cosa composita è miseria". Perché? Perché: "Sabe sankara Anatta, Tutti i compositi sono insostanziali e privi di anima". E, a causa di questa pena inerente inseparabile dalle cose create e composte, essi sono altresì mutevoli: "Anitya, anicchya, non durevoli, instabili", caduchi.
Si può dunque affermare che il quarto stato mentale che trascende la veglia, il sogno e il sonno è Illuminazione, stato Turya nel quale la mente si svuota, per lasciar posto ad un oceano di consapevolezza cosmica, in cui le distinzioni fra colui che conosce, il conosciuto e la conoscenza, fra il soggetto, l'oggetto e il legame che li unisce, si annullano in un'auto-consapevolezza unica, indivisibile, unitaria e monistica. Questo accostamento alla realizzazione della Realtà e dell'Io cosmico è condensato nella breve ma ponderosa Mandukya Upanishad, con la Mandukya Karika di Guadapaada, che è il più famoso scritto sul monismo idealistico della letteratura mondiale e della sapienza scritturale. L'Upasinad Mandukya dice:
"Tutto l'Universo che noi vediamo è Brahman. Il mondo intimo dell'Io è simile a Brahman. Questo io, tutt'uno con AUM, ha un triplice aspetto. Quello che sta al di là di questi tre stati è l'innegabile, il quarto, Turya. Il primo aspetto dell'Io l'universo fisico il fisico collettivo, il Vaiswamara... Il secondo aspetto dell'Io è la persona universale soggettiva, ogni stato mentale, e cioè Taijasa. Il terzo aspetto dell'Io, è la persona universale in sonno profondo, ed è noto con il nome di Prajna.
"Il quarto stato, hanno affermato i saggi, non è esperienza soggettiva, né l'esperienza del mondo oggettivo, e nemmeno uno stato intermedio fra questi due. Non è una condizione negativa ondulante fra consapevolezza ed inconsapevolezza. Non è conoscenza sensoriale né conoscenza relativa e condizionata o conoscenza deduttiva (argomentata logicamente). Questa conoscenza sta al di là dei sensi, della comprensione umana, di ogni espressione umana. Questo quarto stato è consapevolezza unitaria e pura, all'interno della quale la percezione del mondo oggettivo con le sue molteplicità viene totalmente obliterata e trascesa. E` la fonte prima di una pace indescrivibile (che sorpassa qualsiasi comprensione). E` lo scopo supremo (del pellegrinaggio trasmigratorio umano). Questa consapevolezza è Uno, e Uno senza secondo. E` l'Io, conosci questo e questo soltanto". (Mandukya, I).
La Visione Beatifica sulla quale si diffonde Tommaso d'Aquino: la "pace che sorpassa la comprensione, il terzo cielo dove si odono favole arcane e dove i mortali non si possono esprimere", di cui San Paolo parla per propria esperienza e che i Buddisti chiamano Nirvana, oceano di pace al di là di ogni parola e di ogni espressione, il Nirvikalpa Samadhi citato dai vedantici, il mukti, o emancipazione dello spirito dalle pastoie della materia, a cui si riferiscono gli yogi, tutto ciò diviene una cosa sola, Turya, il Quarto Stato descritto da Mundulkya ed altre Upanishad. Sebbene con parole diverse, anche le altre Upanishad parlano di questa realtà trascendente-immanente che è l'Io.
Le Upanishad trovano la loro migliore classificazione in Paul Deussen, il grande orientalista tedesco:
1. Prosa Upanishad dei tempi più antichi: Brihadaranyaka, Chandogya, Taittirya, Aitaruy, Kaustiki e Kena.
2. Upanishad, Isha, Katha, Mundaka e Svaestara, che sono i versi metrici.
3. Prosa posteriore Upanishad: Prasna e Maitrayani.
A queste così classificate da Paul Deussen, possiamo anche aggiungere l'Upanishad Raivalya, che attraverso vie differenti dalla Mandukya, ci conduce allo stesso obiettivo dell'auto-realizzazione. Nelle suddette 13 Upanishad, lo scopo convergente è liberare l'anima individuale imprigionata, Jiivaatma, per permetterle di volare nel grembo di Paramaatma, l'Anima suprema, la superanima, l'Io universale, a volte attraverso vie teistiche, altre tramite il puro monismo, ed altre ancora con incanti devozionali, che portano colui che ricerca sul carro dell'auto-conoscenza trainato dalle ruote della prosa e della poesia, ma sempre diretto al regno di Dio che ha sede dentro di noi. Questo è il sentiero dell'armonia custodito dalle Upanishad, che fa sì che Cristo e Budda, Ram e Rahim, il Corano e lo Zend Avesta, il Tao-te-King e i Tripitaks, Confucio e Mencio, siano saliti alle stesse altezze e abbiano parlato lo stesso linguaggio di unità, di universalità, di comune umanità e di comune divinità che contraddistinguono tutte le scritture religiose, i profeti e le teologie. Questo punto convergente verso l'unità dell'uomo e dell'universo, verso l'unità di Dio e dell'Assoluto, è ciò di cui questo nostro mondo, da proprio tempo perduto nelle scienze empiriche e nelle religioni settarie e guerrafondaie, ha ora bisogno.
Auto-realizzazione
Il valore dell'intera letteratura upanisadica sta nell'indicare all'uomo interna divinità nascosta sotto la vita sensoriale. L'uomo reale non è quello dei cinque sensi, il figlio di Adamo e Eva. L'uomo reale è quella luce incandescente e purissima che brilla nel santuario del suo cuore. Da un punto di vista pragmatico, noi siamo costretti a cercare e a trovare questa nascosta "perla di inestimabile valore", come la definisce Gesù, perché tutto il resto non è che scena vuota e priva di contenuto interiore, senza traccia di reale, di verità, di serena felicità. Non c'è felicità per un uomo in una donna, poiché per una donna in cui un uomo, né per entrambi nella ricchezza, nella posizione sociale, nel vigore giovanile né nella bellezza. Tutto ciò è evanescente, mentre nel cuore dell'uomo albergano il seme dell'Albero della Conoscenza, l'orto rigoglioso e i pascoli dell'Eden. Bisogna riconquistare il paradiso perduto. Ma come? Attraverso un processo di meditazione, di disciplina interiore, di auto-purificazione ed aumentando ed intensificando la luminosità della mente e del cuore che diventerà in tal modo ricettivo alle vibrazioni e ai messaggi trasmessi dal ciò che sta nell'aldilà.
L'auto-rivelazione, al pari del dischiudersi di un fiore di loto davanti al sole che sorge, fa cadere tutte le maschere e gli strati che nascondono la divinità nascosta ed inerente, l'Aatman, la Superanima. Questo processo di smascheramento e di rivelazione avrà luogo quando l'uomo, sradicandosi dal mondo oggettivo di simboli e forme, rescindendo i lacci del desiderio che lega ed imprigiona il suo vero io, penetra nell'intimo regno dell'auto-consapevolezza, dell'auto-conoscenza, dell'auto-visione e dell'auto-realizzazione.
Le religioni, sebbene in certo modo neglette, portano oggi verso questo culto esoterico dell'auto-realizzazione. Le religioni della pompa liturgica, del potere ecclesiale e del ritualismo, tutte quelle basate sull'autorità di una scrittura esteriore, di Dio o di alti prelati sono ormai tramontate, e la nuova corrente della più antica di tutte le religioni, quella dell'auto-realizzazione, è ritornata nel cuore degli uomini, nei tabernacoli dell'animo umano. Persino un Dio esterno, trascendente, avulso dal santuario dell'intimo, detronizzato dal cuore dell'uomo, non ci offrirà il bene vero. Il sorgere di un Dio immanente, quale Io universale, reintegra l'uomo nella dignità di figlio di Dio. Reinstaura l'antico ideale di un mondo solo, di un'unica famiglia umana, di una cultura e di una fratellanza universale, non più frammentata da credo e scritture contrastanti, né da miopi teologie che si escludono vicendevolmente.
Attraverso i labirinti periferici delle religioni cerimoniali, dei dogmi e dei credo, di preti e prelati, di diaconi e diaconesse, di sacerdoti e sacerdotesse, si può pian piano risalire fra le strade serpeggianti sino a raggiungere i chiari ruscelli di acque scintillanti che estinguono la nostra sete, liberano il cuore umano dalla tirannia della paura e della disperazione, e cioè l'Io e nell'altro che Io, io universale. E sarà soltanto entrando nel cuore di questo Io cosmico, il Sat chit ananda, che l'uomo si renderà libero dal vincolo della passione selvaggia e del desiderio che fagocitano la vitalità interiore e la nostra creatività. Vincendo la lussuria attraverso l'Io, l'uomo si emanciperà.
La religione delle Upanishad è una filosofia, e la filosofia delle Upanishad è un'analisi della consapevolezza umana che termina in una sintesi che ci dà la religione integrale dell'auto-realizzazione. I nostri vecchi, prima dell'avvento della civilizzazione industriale e tecnologica, possedevano il silenzio necessario, la disciplina, la forza di volontà e la perseveranza per raggiungere le più alte vette dell'auto-realizzazione. Trascendendo le religiosi popolari, il mondo delle apparenze e i vincoli creati dai sensi, potevano assurgere all'altezza somma dell'Io cosmico, la superanima, lo Spirito di Dio interiore. Non trovavano riposo nelle vie di mezzo. Non si accontentavano d'altro che degli orizzonti pieni di luce dell'Io cosmico realizzato dall'interno, totalmente unito ed identificato con la luce fulgida ed incandescente dell'Io, della Superanima.
La religione dell'auto-realizzazione, così com'è custodita nelle Upanishad, stabile e inamovibile nella sua stessa luminosità, spazia sui piani inferiori dall'altezza delle visioni dei profeti upanisadici. Dalle vette del So' Ham, Io sono questo, vale a dire della consapevolezza, essi possono osservare ed armonizzare la posizione dualistica di un Dio personale e, dal Dio personale, scendere più in basso sino alle religioni popolari di giustizia sociale e di carità altruistica, di rituali, ecc.. Ciò che è l'Io nelle Upanishad, è il Tao in Lao-tze e To Agathon in Platone. Dice Lao-tze:
"Quando andò perduta la viso di Tao, nacque la carità, quando la religione della carità declinò sorse il senso di giustizia, quando svanì il senso di giustizia, crebbe il regno di Li, Li che è l'attenuazione della lealtà e dell'onestà di cuore, ed è l'inizio del caos". (Tao-te-King, 38).
Chuang-tze, il principale esponente della psicologia taoista, a commento dell'insegnamento citato, dice:
"Quando Tao è perduto, viene il Te, quando il Te è perduto, viene la bontà umana e quando la bontà umana sparisce, sorge la religione della giustizia. Quando la giustizia si perde, nascono i rituali. I rituali sono la degenerazione della lealtà e della buona fede, e segnano l'inizio del disordine (caos) nel mondo". (Chuang-tse, Ch., 22)
Questa degenerazione delle somme religioni di illuminazione e meditazione ha raggiunto i livelli più infimi nel kali yuga - l'era dell'auto-distruzione. Il posto della religione nell'auto-realizzazione è stato preso oggi da quello dell'auto-distruzione, grazie al fascino stregato della nostra era dello spazio, dell'era nucleare, dell'era atomica. Gli occhi luccicanti della scienza e le grandi scoperte scientifiche del mondo empirico e di quello fenomenico sono stati completamente prostituiti e subordinati al profitto e alla preparazione militare e hanno incrementato gli interessi privati del singolo, dei propri e delle nazioni. Di conseguenza è diventato imperativo, per coloro i quali pensano e riflettono, tornare alla "roccia dalla quale siamo stati tagliati", per dirla con il profeta Isaia, per ricongiungersi ai piedi di loto dell'Essenza di Dio, intimo sacrario della Superanima, e alla pace gioiosa dell'auto- realizzazione.
Quale commento vivente della religione upanisadica dell'auto-realizzazione nel nostro secolo ventesimo, si possono citare le vite di profeti quali Sri Ramakrishna di Dakshineswar, Sri Ramana Maharshi di Tiruvannamalai, Sri Auribindo di Pondicherry, il Mahatma Gandhi e pochi altri in India ed altrove. L'uomo viene interposto fra il mondo della Realtà o Io da una parte e il mondo delle apparenze, dei fenomeni e del flusso empirico delle cose e degli eventi dall'altra. Si è dunque liberi di identificare se stessi con la propria Realtà più interiore, che è l'Io all'interno di noi, liberandoci, oppure di riconoscersi nei nostri sensi, nella vita corporea e fenomenica, e essere sommersi dal mare del samsara o mondanità. Rams e Krishna, Budda e Cristo ci hanno indicato la via dell'auto- realizzazione. E noi ne abbiamo bisogno.
Le Upanishad, i Vedanta e Jnana Marga
La mente, quando si proietta all'esterno, genera pena e sofferenza, confusione e vita animalesca, mentre, inversamente, una mente interiorizzata è sorgente di beatitudine e felicità, gioia e pace. La mente può essere per noi sorgente di inferno o di paradiso, e sempre in dipendenza del mondo in cui funziona. Se essa vive, orbita ed esiste nell'ambito dei fenomeni, degli oggetti e delle cose al di fuori dell'Io reale, porterà alla fin fine disperazione, dolori e morte. Nessun progresso tecnologico evitò a Hitler o a Salazar di presentarsi al loro ultimo giorno; mentre la tecnologia, per esempio, la conoscenza delle leggi del mondo empirico e le loro applicazioni per alleviare il peso della vita, se impiegate come mezzo per raggiungere un fine spirituale, possono essere più accettabili. Ma ciò può accadere soltanto quando la mente sia rivolta all'intimo e penetri nel tempio dell'auto-conoscenza, che di per se stessa è auto-realizzazione. Di conseguenza l'intero universo creato può essere utilizzato come tramite ci aiuta a crescere, ad evolverci, a trasformarci in superuomini. Ma appena si perde questo filo dorato che ci unisce all'Io cosmico, alla Superanima, inizia la caduta verso la miseria anche quando si realizzi ha vita un apparente successo.
Il successo del feudalesimo medievale aprì la strada alla pressione capitalistica, così come l'economia e la società capitalistica hanno dato vita oggi al socialismo e al comunismo non soltanto nel mondo in via di sviluppo, ma anche in quello super industrializzato dell'Occidente. Tuttavia però nemmeno questo nuovo ordine economico e scientifico ci può aiutare a risolvere il problema base dell'uomo, che è quello di scoprire e conquistare la beatitudine pura. Voi potreste scartare questa possibilità come irreale ed utopistica, ma la semplice negazione non risolve la sfida del cuore umano che sempre e dovunque, nei momenti sia conscia sia inconsci, anela a una vera e durevole felicità. Questa sede innata non è inventata dall'immaginazione, né può essere spazzata via come una chimera o un sogno non pratico ed irrealizzabile. Esiste, persiste e ci segue ovunque come la nostra ombra, sollecitandoci a fermarci e a riflettere per cercare e trovare la strada, la via regale che ci conduca alle lontane spiagge dell'esistenza, dove non troveremo più le burrasche e le tormente della vita, dove non ci sono più naufragi ed inabissamenti.
Le Upanishad fioriscono come risposta a questo bisogno basilare dell'uomo, una risposta effettiva e perenne al problema della felicità umana e del benessere integrale. La filosofia razionalista, le metafisiche speculative, le etiche umanistiche e l'idealismo pratico non riescono a raggiungere tale livello., Gesù Cristo, ieri, oggi e per sempre", disse San Paolo. E Gesù stesso disse: "Il cielo e la terra possono passare, ma il mio gennaio attualmente non passerà" così è per il messaggio delle Upanishad, lo gnosticismo finissimo che emancipa gli uomini dai legami della passione e dalla lussuria della vita, dal calore incandescente della concupiscenza carnale, da ogni forma di tirannia da parte della società, di uomini, di Angeli e di demoni. L'uomo è venuto sulla terra per raggiungere la libertà, l'emancipazione, la liberazione, mukti, e non ha altro mezzo per raggiungerle se non attraverso la conoscenza, la gnosi, Jnana. L'insegnamento attualmente upanisadico è quindi l'Jnana Yoga della filosofia indiana. Ed è ancora l'Jnana, la gnosi, la conoscenza che soddisfa i nostri bisogni spirituali, sia monisticamente, come nell'Advaita Vedanta, sia teisticamente, come nella teologia dualistica. Se siete più portati verso l'amore devozionale e meno verso il pensiero elevato della filosofia speculativa, della metafisica ontologica e della psicologia profonda, vi si schiuderà la porta del Bhakti Marga, il sentiero percorso dai santi devozionali per i quali il raggiungimento di Dio quale Amore, Amore cosmico, rappresentò il fine ultimo. In tal senso esempi luminosi sono offerti da un Chaitanya nel Bengala, da un Francesco d'Assisi in Italia e da un Mira Bhai in India. E potrete facilmente diventare un Karma Yogi assolvendo al mandato della religione dell'obbedienza e dell'Amore cosmico.
Le Upanishad, formando il Jnana Khanda, sezione gnostica dei veda, possono prendere il nome di religione gnostica, Jnana Yoga, che, avvicinandosi alle necessità del cuore umano, si trasforma in Bhakti Yoga e, quale sorgente di ogni attività ed adempimento dei doveri della vita, diventa Karma Yoga. Non esiste una divisione netta, né ci sono rigide frontiere fra le tre branche dello Yoga, vale a dire fra Jnana, Bhakti e Karma. A seconda che un certo aspetto è dominante in un saggio, in un santo o in un profeta, esso è classificato o come un jnani o come un Bhakta o come un Karma Yogi. Ma la base di questi tre sentieri è sempre il limpido fiume dei pensieri e delle realizzazioni custodite nelle Upanishad. Kil divino Buddha, massimo ed intrepido riformatore della storia indiana, l'anticonformista la cui personalità magnetica diede vita alla religione più etica con il più ampio seguito nel mondo, persino lui, dicevo, il Tathagata, considerò le Upanishad come il caposaldo del suo insegnamento, sia sotto il profilo etico sia sotto quello psicologico, anzi persino sotto quello dell'ontologia che è contenuta nelle metafisiche del Surangama Sutra.
I Vedanta, parte gnostica e filosofica del i Veda, ebbero esponenti non soltanto di grandi profeti quali Shankara, Ramanuja, Madhava e - ai nostri giorni - nella vita e nella predicazione di Sri Ramana Maharshi, Ramakrishna, Vivekananda ed altri in India, ma "quasi inconsapevolmente, trasmisero la stessa dottrina in tutte le scuole esoteriche dell'antica Grecia, Pitagora, Platone, in Ermete Trismegisto d'Egitto, in Origene, Clemente Alessandrino, San Massimo e molti altri del Cristianesimo primitivo, in Laotze, Chuang-tse, Mencio e Confucio in Cina, Zarathustra in Persia, e in rappresentanti del Sufi Islam come Jallaudin Rumi, Al Hallaj, Rabia di Hastra ed altri ancora.
Il mondo odierno, assai più malato e sofferente di quello dei tempi di Buddha o di Laotze, ha bisogno di questa filosofia introspettiva, di questa etica psicologica, di questa gnosi che annulli l'io, consentendoci di compiere bene tutti i doveri della nostra vita, aggiudicandoci infine la palma della vittoria. Coloro che seguiranno l'insegnamento delle Upanishad, quello dell'auto-annullamento e dell'auto-realizzazione, passeranno indenni attraverso i travagli della vita e raggiungeranno lo scopo finale. O, come dice Gesù: "Colui che mi seguirà, non camminerà nel buio, ma avrà dentro di sé la luce della vita". E il Maestro dice ancora che chi avrà offerto se stesso, il proprio padre e la propria madre, la propria moglie e i suoi figli riceverà "il centuplo in questa vita e la vita eterna dopo".
Questa non ha voluto essere una introduzione dotta ed erudita alle Upanishad, ma una pratica indicazione del sentiero della Pace, e della Gioia, come appare in tale dottrina. Nelle pagine che seguono ho tradotto quattro delle Upanishad esistenti, con la traslitterazione del testo sanscrito in caratteri romani, con una traduzione letterale o parafrasata, a seconda di quanto richiesto dal testo, e con commento verso per verso, inteso come riflessione e meditazione che aiuti la formazione della vita spirituale e dell'auto-espansione di coloro che leggono. Se lo scrivente ne avrà il tempo, continuerà la traduzione delle altre Upanishad, visto che il quattro Upanishad della tradizione vedica l'hanno aiutato nella sua ricerca del senso della vita e del raggiungimento della pace e della gioia del cuore. Per tutti coloro i quali agognano alla stessa meta, possa la superanima, l'Io, il Paramaatman, Dio, aiutarli e guidarli sino a raggiungere le spiagge benedette dell'Esistenza, dove nascita e more cessano di essere, dove la vecchiaia e la caducità sono sconosciute, dove esiste soltanto Puro essere, Vita, Verità assoluta, Totale consapevolezza, Beatitudine perfetta, il Sat chit ananda delle Upanishad.
Tutto ed il "TUTTO" è "ATHMA", "SPIRITO"...