Riassunto della novella dei "Tre principi di Serendippo”.
Fu anticamente nelle parti orientali, nel paese di Serendippo, un grande e potente
re, nominato Giaffer, il quale ritrovandosi tre figliuoli maschi, coltissimi perché
educati dai più grandi saggi del tempo, ma privi però di un'esperienza
altrettanto importante di vita vissuta, decise, per provare, oltre alla loro saggezza,
anche le loro attitudini pratiche, di cacciarli dal regno:
"Deliberò, per farli compiutamente perfetti, che andassero a vedere del mondo,
per apparare da diversi costumi e maniere di molte nazioni con l'esperienza
quello che colla lettione de' libri, e disciplina de' precettori s'erano di già fatti
padroni". Durante il loro viaggio i tre fanno diverse scoperte, grazie al caso e alla
loro sagacia, di cose che non stavano cercando.
Da poco giunti nel Paese di Bahrām, "potente imperadore", i principi si imbattono
in un cammelliere, disperato perché ha perduto il proprio animale.
I tre non pur non avendolo visto, dicono al poveretto di averlo incontrato "nel
cammino, buon pezzo a dietro". Per assicurare il cammelliere gli forniscono tre
elementi: il cammello perduto è cieco da un occhio, "gli manca uno dente in
bocca" ed è zoppo. Il buon uomo, ripercorre a ritroso la strada ma non riesce a
ritrovare l'animale. Il giorno seguente, ritornato sui suoi passi, incontra di nuovo i
tre giovani e li accusa di averlo ingannato. Per dimostrare di non aver mentito i
tre principi aggiungono altri tre elementi.
Dicono: il cammello aveva una soma, carica da un lato di miele e dall'altro di
burro, portava una donna, e questa era incinta. Di fronte a questi particolari,
il cammelliere dà per certo che i tre abbiano incontrato il suo animale ma,
vista la ricerca infruttuosa, li accusa di avergli rubato il cammello. I tre rivelano
che ciascun particolare del cammello è stato immaginato, grazie alla capacità
di osservazione e alla sagacia. Che fosse cieco da un occhio era dimostrato dal
fatto che, pur essendo l'erba migliore da un lato della strada, era stata brucata
quella del lato opposto, quello che poteva essere visto dall’unico occhio buono
dell’animale. Che fosse privo di un dente lo dimostrava l'erba mal tagliata che si
poteva osservare lungo la via. Che fosse zoppo, poi, lo svelavano senza ombra
di dubbio le impronte lasciate dall'animale sulla sabbia. Sulla spiegazione del
carico i tre dissero di aver dedotto che il cammello portasse da un lato miele e
dall'altro burro perché lungo la strada da una parte si accalcavano le formiche
(amanti del grasso) e dall'altro le mosche (amanti del miele); aveva sul dorso
una donna perché in una sosta il passeggero si era fermato ai lati della strada a
urinare, e questa urina era stata odorata da uno dei principi per curiosità,
venendo egli "assalito da una concupiscenza carnale" che può venire solo da
urine di donna, aveva dedotto che il passeggero doveva essere di sesso
femminile. Infine la donna doveva essere gravida, perché poco innanzi alle orme
dei piedi c'erano quelle delle mani, usate dalla donna per rialzarsi a fatica visto
"il carico del corpo". Le spiegazioni dei tre principi stupiscono a tal punto
Bahrām, , che decide di fare dei tre dei tre giovani sconosciuti i propri
consiglieri. I tre principi in incognito offrono così i loro servigi all'imperatore,
salvandogli anche la vita risolvendo situazioni difficili o prevedendo il futuro.
[1] Renzo Bragantini, Il riso sotto il velame, Firenze, Olschki, 1987.
La fortuna aiuta, ma da sola non è sufficiente.
La parola serendipità è un neologismo coniato nel 1754 dallo scrittore
Horace Walpole il termine inglese è serendipity.
Serendipità ha origine dalla parola Serendip, l'antico nome dell'isola di Ceylon
(Sri Lanka). La fiaba narra di tre principi che nel loro cammino fanno delle
scoperte che gli salvano la vita in diverse occasioni. Le loro scoperte sono
ovviamente casuali, ma il loro grande merito consiste nel loro notevole spirito
di osservazione.
Dal punto di vista filosofico la serendipità è quella situazione in cui si trova
qualcosa di importante mentre se ne sta cercando un'altra.
La serendipità produce risultati copiosi nella ricerca scientifica, dove molte grandi
scoperte sono state fatte per serendipità, non frutto esclusivo
dell’Intelletto o della volontà intenzionale.
Una famosa frase per descrivere la serendipità è del ricercatore biomedico
americano Julius H. Comroe:
"la serendipità è cercare un ago in un pagliaio e trovarci la figlia del contadino."
Molte volte la scoperta fatta per caso viene sminuita: si dà più valore all'evento
casuale che all'osservazione attenta e alle capacità di chi ha fato la scoperta.
Non si capisce che la vera grandezza di uno scienziato si misura spesso con il
metro della serendipità.
A dimostrarlo è la strada dei premi Nobel, che è lastricata di esempi di
serendipità, e che ha visto alternarsi sul palco dell'Accademia delle scienze di
Stoccolma i più famosi uomini di scienza del Novecento, che in molti casi hanno
sottolineato come la sorte abbia guidato le loro menti. La serendipità, dunque,
può essere applicata solo da chi ha una mente preparata e non da chiunque.
Per tale motivo scoprire qualcosa attraverso il caso può e deve essere motivo di
vanto e non di... casualità.
"I semi di una grande scoperta sono costantemente presenti nell'aria che ci
circonda, ma essi cadono e fanno radici soltanto nelle menti preparate a riceverli"
Joseph Henry fisico americano La serendipità non pretende di essere metodo
scientifico, che possa sostituire il modo di procedere ortodosso dei ricercatori, ma
è un'applicazione particolare di un processo logico, l'abduzione, abitualmente
usato dagli scienziati. E', in fondo, un'eccezione, che può parere, a prima vista,
un'eresia, ma che deve essere parte costante dell'agire dello scienziato, il quale
dovrebbe guardare cosa accade con occhi puliti da ogni preconcetto.
Solo infatti una mente elastica potrà ricondurre il dato discordante e inatteso a
una possibile novità invece che a una deviazione fastidiosa perché non facente
parte del proprio percorso logico.
Concludendo: ci vuole un Genio ( non quello della Lampada di Aladino) per
approdare alla comprensione integrale della Realtà in cui siamo immersi.
Massimo