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Il quarto “Stato”

Il quarto “Stato” - Lo Spirito

Nella materia:

1)    Lo stato solido,

2)    Lo stato liquido,

3)    Lo stato aeriforme,

4)    Lo stato “Plasma”.

 Nel corpo:

  1. lo stato coscienza di veglia (jagrata),
  2. lo stato del sogno (svapna),
  3. lo stato del sonno senza sogni (susupti).
  4. lo stato “Turiya”.

 

                      Il “Plasma”,   La “Turiya” ?

« Il quarto stato non è quello che è conscio dell'oggetto né quello che è conscio del soggetto, né quello che è conscio di entrambi, né la semplice coscienza, né la massa completamente senziente, né quella completamente all'oscuro. È invisibile, trascendente, la sola essenza della coscienza di se, il completamento del mondo. »

Stati “altri” di coscienza

In ogni situazione in cui i processi che costituiscono la coscienza come la memoria, la percezione, l'attenzione, le emozioni, non lavorano più in modo ottimale, si entra in ciò che viene definito stato altro dell'ordinario stato di coscienza. Pur essendo difficile effettuare una netta distinzione tra uno stato altro e uno stato ordinario, quest'ultimo lo si può considerare come quello stato in cui un soggetto si trova mentre svolge le normali attività della vita quotidiana, è perfettamente consapevole delle azioni che sta compiendo e si rende conto di ciò che gli accade intorno. Lo stato altro è quello in cui il soggetto non è consapevole dell'ambiente circostante oppure ha un controllo parziale o nullo dei suoi sensi a tal punto da percepire in modo alterato le sue sensazioni e tutto ciò che vede o    gli accade.Essendo una fisiologica condizione dell'organismo ogni individuo nel corso della sua vita può avere l'esperienza di uno stato altro.

Diversi sono i meccanismi in grado di indurre tale esperienza. Rimanere immobili nella stessa posizione per diverso tempo fa si che tutti i recettori del corpo si abituino e il cervello non riceve più da essi le sensazioni tattili e di movimento, in questo modo non si ha più l'esatta coscienza del corpo; questo rappresenta un esempio di stato altro. Bombardare gli occhi con intense luci psichedeliche o impedire a tutti gli organi di senso di ricevere ogni informazione proveniente dal mondo esterno, non dà la possibilità al cervello di elaborare precisi punti di riferimento e questo determina la perdita della coscienza ordinaria del tempo e dello spazio: è un altro esempio di stato altro. Un risultato simile si ottiene agitando il corpo ininterrottamente per lungo tempo, oppure sottoponendosi a intensi stimoli sonori, ingerendo alcuni tipi di droghe, subendo traumi cerebrali o provando un'emozione violenta. In definitiva si entra in uno stato altro della coscienza quando si è esposti a quei meccanismi che possono interferire il normale funzionamento dell'attività di tutti i processi cognitivi e che determinano, quindi, una modificazione della consapevolezza di sé e del mondo circostante.
Sotto l'aspetto prettamente fisiologico la differenza degli stati di coscienza dipende dalla velocità con la quale il cervello elabora le informazioni. Se il cervello elabora velocemente una notevole quantità di messaggi in entrata, si determina uno stato di iperattività neurovegetativa con conseguenti sensazioni di agitazione ed esaltazione emotiva; mentre, se le informazioni in entrata sono minime e la velocità di elaborazione è ridotta, si otterrà uno stato di ipoattivazione neurovegetativa con sensazioni di rilassamento o di calma emotiva profonda. Questi stati viaggiano lungo un continuum e ogni soggetto può passare da uno stato all'altro in una ridottissima quantità di tempo.

Gli stati alterati di coscienza sono chiavi di accesso per avvicinarci alla trascendenza, per trans-ire e passare al di là della normale realtà percepita, attraversando regni sconosciuti verso un fine sempre più lontano dalla "realtà" e dall'ordinario. Ma che cos'è "ordinario" e soprattutto, cos'è la "coscienza"?. A queste domande, l'uomo ha sempre cercato delle risposte e nemmeno gli studiosi più accaniti hanno saputo dare una spiegazione. Analizzando il problema ci accorgiamo che tutto questo ha a che fare con quello che noi chiamiamo "Anima" in prima istanza, Spirito in seconda istanza; la parte sottile della nostra esistenza che non ci assicura per niente l'eterna permanenza del nostro "Io" in qualche parte degli universi possibili. La coscienza e l'Anima stanno parte di noi, mescolate e intrise alla nostra "fisicità", bilocate, topologicamente, tra il mondo fisico e un ipotetico mondo sottile, al di qua e al di là della materia, tra i quali è possibile stabilire un contatto. Come? Passando oltre, attraversando, calandoci dentro, il più possibile, a noi stessi, per scoprire il paradosso della vita.

                       L'universo non è solo fuori di noi ma soprattutto

                                                   DENTRO,

ed è calandoci dentro che passeremo oltre ( in greco “παρὰ” , al di là ) di ogni cosa.

Il quarto stato di coscienza è la coscienza obiettiva.  In questo stato, l'uomo può vedere le cose come sono. Talvolta, negli stati inferiori di coscienza, egli può avere dei barlumi di questa coscienza superiore.

Ma ancora: come?

Apprendendo delle tecniche e sviluppando le normali capacità percettive.
Se il corpo ci "trattiene" ancorati a questa realtà e il limite è la coscienza dobbiamo sforzarci di evolvere la nostra Consapevolezza per un trasferimento cosciente del nostro "Io" allo Spirito in prima istanza, all'Anima, subordinatamente. Dobbiamo indurre e condurre il corpo - mente a uno stato "altro" per accedere a un ordine diverso di percezione.

In questi momenti di coscienza dilatata, conseguenza di uno stato di ripiegamento in sé stesso, l'Uomo avverte il distacco emotivo-affettivo-sentimentale dal mondo circostante, vivendo però un sentire cosmico, dove lo Spirito si espande di energie rigenerative ed attinge in modo Cosciente e Consapevole al sapere universale.

Come afferma il Premio Nobel Manfreid Eigen,corroborato dal pensiero di Ilya Prigogine, considerato uno dei pionieri della cosiddetta scienza della complessità. Nel pensiero di Prigogine ha un'importanza cruciale il concetto di entropia, ovvero il il secondo principio della termodinamica: ogni processo naturale, infatti, è irreversibile e tende ad aumentare la sua entropia (e quella dell'ambiente in cui si trova). Anche il tempo, in quanto successione di stati sempre diversi, deve essere concepito come irreversibile, ed è soggetto a sua volta a entropia.       Tuttavia in natura esistono organismi viventi in grado di auto-organizzarsi diminuendo la propria entropia a discapito dell'ambiente, vincolati ad un maggior o minor disordine entropico.

                                                  "La natura delle informazioni è immateriale";

la realtà materiale è frutto di una "matrice" nascosta agli occhi della ragione alla  quale si manifesta in maniera grossolana e approssimata.

A questo punto bisogna chiarire, però, che gli stati “altri”di coscienza non sono solo la trascendenza: sono solo il buco della serratura da cui si può spiare le "realtà alternative". Poiché si vive per vivere e non per morire, nell'attesa si cerca di trovare, di questa trascendenza che ci attende, delle manifestazioni, delle comunicazioni mentre ancora viviamo su questa terra.

Il nostro stato di coscienza ordinario è uno strumento, un meccanismo, una struttura che ci permette di muoverci nel nostro ambiente, di decodificare la realtà sociale esterna nonché le esperienze ed i valori che ne sono alla base. La nostra società, e gli individui che la compongono, sono oggi confrontati a profonde trasformazioni culturali e tecnologiche tali da rimettere in discussione i fondamenti politici, religiosi, morali ed emotivi che costituivano un tempo dei punti di riferimento indiscutibili. Questi mutamenti rendono più fluttuanti concetti quale "normale" "patologico", "scienza" e "Spiritualità" creando tutta una serie di nuovi interrogativi. Lo stato “altro” di coscienza è uno stato di coscienza "nuovo" vissuto dallo sperimentatore come un cambiamento, spesso radicale, del funzionamento abituale della coscienza. Le informazioni che dal mondo esterno vengono captate attraverso i sensi ed elaborate dal cervello (sistema nervoso centrale) in quanto “mezzo”, strumento, della mente ( immateriale ) in questo stato potrebbero essere elaborate in altro modo assumendo nuovi significati e valori. Gli stati “altri” di coscienza non sono per forza indotti o creati artificialmente, fanno parte della nostra vita quotidiana ed ognuno di noi li ha già sperimentati. Essi sono: gli stati di sogno, gli stati transitori tra sonno e veglia, gli stati ipnotici, le alterazioni prodotte dalla sfasatura  sonno-veglia, il jet-lag …  Altri possono essere le patologie psichiche, l'ebbrezza alcolica, l'estasi, l’ènstasi, la trance e la meditazione oppure gli stati derivati dall'assunzione di sostanze psicotrope. Lo stato alterato di coscienza non può essere considerato come secondario alla "coscienza lucida" perché l'io cosciente decodifica gli stimoli utili alla sopravvivenza (in senso ampio) e risulta perciò mutilato e asservito alla realtà esterna.

La coscienza "altra" non è altro che la coscienza allo stato primordiale, liberata cioè da condizionamenti sociali imposti;

una coscienza anteriore, "originaria". Siccome questa coscienza arcaica sottostà al principio di realtà essa apparirà “altra”,"alterata", ogni qualvolta si tenterà di portarla in superficie; questo anche perché non è possibile una perdita completa della realtà. La psichiatria classica considera gli stati alterati di coscienza come patologici, anticamera del manicomio, fughe dalla realtà soggettivamente frustrante. Non bisogna dimenticare che molti artisti, intellettuali e anche scienziati hanno usato ed usano tuttora sostanze psicoattive e nessuno si azzarderebbe a mettere in dubbio la loro sanità mentale. Neppure la cultura "giovanile" degli anni sessanta e settanta, che faceva delle droghe leggere un esperienza centrale nella socializzazione, può essere intesa come fenomeno psichiatrico. Se ne potrebbero criticare atteggiamenti ed ideologie, ma anche riconoscere una spinta nell'elaborazione di nuovi valori sociali e politici che non erano certo espressione di una fuga di massa autodistruttiva e psicotica. In realtà, gli stati alterati di coscienza sono mezzi per incontrare noi stessi e gli altri a livelli percettivi che ci sono abitualmente sconosciuti.

Le esperienze mistiche sono solitamente concepite quanto coincidono con stati alterati di coscienza ?? Come risultato, una considerazione di stati mistici dovrebbe iniziare una discussione sulla coscienza stessa. Eppure la natura della coscienza è una delle più fondamentali e difficili di tutte le questioni filosofiche.

Le risposte a quella domanda si estendono attraverso uno spettro enorme nelle culture e nei periodi. Ad un estremo, includono l'idea che la coscienza è un mero sotto-prodotto della materia; quella è la filosofia del materialismo. All'altro estremo c'è l'idea che la coscienza è il substrato fondamentale della realtà; questa è la filosofia dell'assoluto idealismo come proposto, ad esempio dal Buddhismo Yogachara. Per Nietszche, la coscienza era una sofferenza prodotta dalla malattia della vita, mentre per la religione vedantica dell'India, è essere e felicità.

Eppure, poco importa cos'è la coscienza, il desiderio di alterarla è chiaramente comune e diffuso. Se è il caso, solleva la domanda ovvia sulla natura di uno stato "ottimale" di coscienza.

Nell'Ovest viene comunemente assunto che il nostro stato di veglia usuale è ottimale. Eppure numerose tradizioni religiose e contemplative hanno pretese sulla coscienza che corre all'incontro delle assunzioni occidentali, tra le quali:

  1. I nostri stati abituali di coscienza sono severamente subottimali e deficienti.
  2. Esistono stati molteplici di coscienza - inclusi i veri "stati superiori".
  3. Questi stati si possono ottenere coll'allenamento.
  4. La comunicazione verbale a loro proposito può dimostrarsi necessariamente limitata.

L'insegnamento delle tradizioni mistiche c'informano che il nostro stato usuale di coscienza non solo è sub-ottimale, ma persino sognaticcio ed illusorio. Asseriscono che, che lo sapessimo o meno, senza allenamento mentale, siamo prigionieri dalle nostre proprie menti, intrappolati senza saperlo da un dialogo interiore continuo che crea una divorrantissima distorsione della percezione. Queste tradizioni suggeriscono che stiamo vivendo in un sogno collettivo anche conosciuto da noi come Maya, 'illusione', o ciò che il psicologo Charles Tart chiama 'trance consensuale'.

Ovviamente, se queste varie tradizioni considerano il nostro stato abituale come subottimale, dovranno considerare certuni altri stati quanto superiori. Numerose tradizioni convergono sull'idea che l'unione mistica descritta dai mistici e santi costituisce lo stato supremo di coscienza, e difatti è il massimo compimento dell'esistenza umana.

Sonno e morte, da millenni sono stati affiancati l'uno all'altra e legati da nessi eufemistici (addormentarsi-morire), mitologici (per i Greci Hypnos, il dio del sonno, era fratello gemello di Tanatos, dio della morte) o metaforici (la morte come un sonno eterno senza sogni). Il sonno, realtà esperibile, reversibile, si è prestato come base per pensare la morte, di per sé non esperibile e irreversibile. Ma anche lo stato di coscienza onirico, il sogno, è servito come mezzo cognitivo-esperienziale per poter pensare la morte (pensiamo, ad esempio, al monologo di Amleto). Negli ultimi tre decenni si è andato sempre più imponendo un ulteriore stato di coscienza che ha posto in secondo piano il sonno e il sogno come modelli e metafore della morte. Anzi, questo stato di coscienza, si è legato alla morte non più attraverso figure retoriche quali l'analogia o la metafora, non più attraverso forme eufemistiche o parentele mitologiche: lo stato di coscienza di cui parleremo, è stato descritto, e non solo da chi lo ha vissuto personalmente, come coincidente con la stessa morte, che in tal modo è stata illusoriamente piegata alla dimensione esperienziale. Questo abbattimento dello iato metaforico-linguistico, della tensione tra segno e simbolo, è da più parti ritenuto una delle conseguenze del processo di desimbolizzazione tipico della cultura post-moderna, un processo interessante.

Dunque la morte è stata ammantata dall'esperienza, e non è un caso che lo stato modificato di coscienza di cui parliamo è stato denominato: "Esperienza di Pre-Morte" (noi preferiamo però l'espressione inglese: Near-Death Experience, Nde). Grazie all'Nde la propria morte non solo diventa pensabile, ma anche "vivibile": si fa esperienza della morte. Chi "vive" una Nde può raccontarla come fa con i propri sogni, con le esperienze di un viaggio in paesi lontani o con l'esperienza di una notte in discoteca. Noi viviamo nella "società dell'esperienza", afferma in un recente saggio il teologo Hans Küng, e in tale società solo in un caso la morte può essere accettata e suscitare profondo interesse: "solo cioè se anch'essa è intesa come esperienza vissuta, cioè come esperienza di uomini che sono morti e che sono poi richiamati in vita dalla morte" (Küng e Jens, 1995, p.22). Di qui l'ampio "uso" strumentale dell'Nde all'interno dei nuovi "culti dell'esperienza" come la New Age, al fine di rassicurare la gente impaurita dall'obliterazione della coscienza dopo la morte.

Seppure con una incidenza non elevata, si è riscontrato che una certa percentuale di coloro che, in seguito a un grave incidente o un trauma o una crisi cardiaca, abbiano pensato, creduto, temuto o percepito, più o meno consciamente e non necessariamente in presenza di un oggettivo pericolo di morte, che la propria morte fosse imminente, riferiscono di essere stati protagonisti di un'esperienza descritta come fantastica e "reale" al tempo stesso, come un vero e proprio "viaggio nell'aldilà" o nel "mondo dei morti", descritto uniformemente come luogo di pace, serenità e tranquillità assoluti, che presenta molte somiglianze con quello immaginato da Dante nella "Divina Commedia" o con quelli immaginati e descritti nei "Libri dei Morti" sia egiziani che tibetani. Molti di coloro che sono stati o hanno ritenuto di esserlo, sul punto di morire o addirittura sono stati dichiarati clinicamente morti, hanno poi riferito di essere "usciti dal corpo" e di averlo potuto osservare dall'esterno; di essere entrati, spesso dopo l'attraversamento di una zona di passaggio generalmente buia, in luoghi paradisiaci, in un regno di luce e amore, dove avrebbero incontrato parenti o amici defunti e spesso anche un grandioso "Essere di luce"; alcuni hanno anche riferito di aver potuto rivedere in breve tempo l'intera esistenza passata e/o, in alcuni casi, anche quella futura e di avere improvvisamente intuito la vera natura e il vero significato della vita e della morte; riferiscono poi di essere arrivati in una zona di confine o di aver incontrato un ostacolo, o l'Essere di luce stesso, che ha impedito loro di andare oltre e che li ha costretti a "ritornare nel corpo".

La letteratura sull'Nde mostra numerose incongruenze; assumeremo un approccio psicofisiologico clinico per il raggiungimento di una più adeguata definizione, descrizione e comprensione dell'Nde. L'assunto psicofisiologico, della fondamentale unitarietà dell'essere umano in cui corpo e psiche non sono altro che due facce della stessa medaglia, si rivela, nello studio dell'Nde, più che in altre possibili esperienze umane, di particolare validità ed utilità. Esso ci consente, infatti, di giungere ad una considerazione dell'Nde che nulla ha a che fare con le possibili e, per alcuni, inevitabili ipotesi metafisiche e prove della "vita oltre la vita".

Molte definizioni dell'Nde sembrano dare per scontato che tale esperienza venga vissuta unicamente da persone che siano state in reale pericolo di morte, definito come tale sulla base di specifici parametri medici. Solo pochi autori hanno sottolineato che la semplice percezione della morte come imminente può essere di per sé una condizione sufficiente perché un individuo viva una Nde, anche in assenza di una grave crisi organica. Noyes (1972) ha considerato il riconoscimento della morte come imminente da parte del soggetto come il prerequisito indispensabile per il verificarsi di un'Nde. È, dunque, più probabile che essa accada, secondo Noyes, in tutte quelle circostanze in cui tale riconoscimento anche in maniera repentina, è possibile. Questa considerazione di Noyes ha trovato conferma nella ricerca eseguita dallo stesso autore insieme a Kletti (1976) dalla quale è risultato che i vissuti che caratterizzano tipicamente un'Nde si presentano con maggiore frequenza in coloro che avevano creduto di stare per morire rispetto a coloro che non lo avevano creduto.

Riassumendo, si può dunque schematizzare il tutto con la sequenza:

  1. trauma psicofisiologico;
  2. vissuto di pericolo di vita;
  3. innesco, in alcuni individui per motivi non ancora spiegati, di una Nde.

Un'altra critica si può muovere a coloro (ricercatori e soggetti) che considerano l'Nde come un'esperienza "nella" morte piuttosto che "vicino" ad essa (nonostante l'inequivocabile termine "near" presente nell'espressione inglese) o in sua prossimità, in senso probabilistico. Ricordiamo che la morte è la "cessazione irreversibile di tutte le funzioni dell'encefalo", in particolare delle funzioni psichiche cerebrali e dell'attività dei centri nervosi del tronco encefalico. Quando si parla di "morte clinica" o di "Eeg piatto", ci si riferisce solo a segni clinici necessari, ma non sufficienti a stabilire la morte dell'individuo. È stato dimostrato con esperimenti su animali, che in presenza di Eeg isoelettrico, rimane comunque una minima attività elettrica cerebrale rilevabile attraverso elettrodi infissi direttamente nella corteccia e in altre parti dell'encefalo. Scrive a tale proposito David Lamb, studioso inglese di bioetica: "I mezzi di comunicazione di massa riferiscono di frequente casi di pazienti "riportati alla vita"; ma questi racconti non possono essere comunque presi in considerazione [...] come esempi di reversibilità della morte. [...] Questi resoconti hanno nondimeno acquistato un significato religioso, grazie ai servizi sensazionali che compaiono nei mezzi di comunicazione di massa sulle esperienze nell'"oltretomba".

In definitiva, chi ha vissuto un'Nde non è mai stato "un morto", ma di sicuro ha occupato il "ruolo" del morto, ascrittogli da sanitari frettolosi o da sé (sia durante che dopo l'esperienza).

L'Nde senza dubbio affascina, appaga il desiderio umano di una "vita oltre la vita" (guarda caso è proprio questo il titolo del best seller di R. Moody), e anche molti studiosi dell'Nde, soprattutto coloro che hanno personalmente raccolto molti resoconti di tale esperienza, si sono lasciati influenzare ed affascinare dalla sincerità e dall'intensità emotiva dei racconti dei soggetti intervistati e, per quanto abbiano precisato che tali soggetti non fossero morti, e che fosse sensato prendere le opportune distanze da ipotesi di carattere metafisico e trascendente, hanno finito, in alcuni casi, per indulgere nell'uso di una terminologia estremamente suggestiva di quest'ultimo tipo di ipotesi, quando non addirittura convincersi che l'Nde sia effettivamente un "viaggio" nell'aldilà.

Tra le molte ipotesi fino ad ora formulate per spiegare l'Nde (per una trattazione delle quali rinviamo alla vasta letteratura scientifica e divulgativa), consideriamo del sogno particolarmente vivido e lucido.

Il sogno è uno degli stati modificati di coscienza più comuni. Per questo, molti, sia tra coloro che hanno studiato l'Nde, sia tra coloro che l'hanno vissuta in prima persona, hanno ritenuto di poter paragonare tale esperienza al sogno. Ma numerose sembrano essere le differenze che impediscono una equivalenza tra Nde e sogno.

R. Moody (1975) evidenzia che coloro che hanno vissuto una Nde, sono individui perfettamente in grado di distinguere tra sogno ed esperienze reali; inoltre essi parlano dell'Nde come di eventi realmente accaduti; non di una esperienza sognata, seppur in modo particolarmente lucido e vivido, ma di una vera e propria esperienza, seppure straordinaria.

M.B. Sabom (1982) ha fatto notare che l'estrema mutevolezza e variabilità dei contenuti dei sogni, non solo tra persone diverse, ma anche nella stessa persona, contrasta con la straordinaria ricorrenza di alcuni elementi nell'Nde. Sabom, in accordo con quanto sostenuto da Moody, cita alcune testimonianze di persone che hanno vissuto l'Nde e che escludono che si sia trattato di un sogno:

"Pensavo: accidenti! Che sogno pazzesco! Ma non era affatto un sogno. Era qualcosa di reale e concreto che accadeva davvero".

"Si trattava di realtà, e non di allucinazione o fantasia. Lo percepivo nettamente. Non era un sogno. Quelle cose mi stavano accadendo per davvero. Le vivevo, le sperimentavo, sebbene fossi più morto che vivo".

"Ho sempre sognato con regolarità e con grande varietà di temi, ma l'esperienza vissuta non si può, sotto alcun punto di vista, etichettare come un fatto onirico, assolutamente. Era reale al massimo, concreta. E poi il senso di pace, la favolosa tranquillità. Era questo, forse più di ogni altra cosa, che la distingueva dal sogno".

Questo evidenziare - commenta Sabom - il profondo senso di realtà dell'esperienza di pre-morte in confronto all'illusorietà del sogno si ritrova in tutte le testimonianze di coloro che hanno vissuto ambedue le cose, ed è molto importante. Il fatto di essere in grado di percepire il senso di irrealtà legato al sogno è fondamentale per il sognatore, stando alle idee di Freud. Gli consente, infatti, di ottenere una specie di rassicurazione positiva "[...] che mira a ridurre drasticamente l'importanza e il pathos di ciò che si sogna consentendo al soggetto di tollerarlo comodamente" [l'interpretazione dei sogni, 1900]. [...] L'irrealtà percepita nel fatto onirico consente, in genere, di proseguire nel sonno ristoratore, nonostante le impressioni sgradevoli o potenzialmente distruttrici che si possono ricevere sognando. Gli eventi che invece accadono nelle esperienze di pre-morte sono sentiti come concreti e reali in modo profondo, sia durante il loro svolgersi sia dopo, allorché li si riconsidera. Senza scordare che, mentre i sogni sono estremamente mutevoli e variabili, non solo da persona a persona, ma anche rispetto a un medesimo soggetto, le esperienze di cui discutiamo si attengono tutte a parametri di estrinsecazioni nient'affatto mutevoli, bensì ricorrenti. Per questo anche l'"enigma sogno" non può spiegare il misterioso fenomeno che stiamo studiando".

Anche le Nde raccontateci da alcune delle persone intervistate, concordano sostanzialmente con quanto si è appena detto. Giuliana, di 43 anni, così descrive la sua esperienza, escludendo che si sia trattato di un sogno:

"[...] Ero in macchina, [...] sono stata spinta fuori strada e ho preso un albero; [...] a quel punto, dopo l'impatto, sono svenuta, sono stata estratta dalla macchina e sono stata messa per terra. Per terra, a quel punto, sono uscita dal corpo... però rimanendo vigile; mi sono fatta una diagnosi, ho visto che era rotto il femore, era rotta la bocca e ho detto: "è più grave la bocca, ma guarisce prima e non dà problemi; il femore, che è meno grave, mi darà problemi; comunque, il tutto si risolverà in un mese al massimo, nessun organo vitale è stato toccato". [...] Sapevo che quello che avevo vissuto era vero, più vero di quello che stavo vivendo dopo. Quindi non era un sogno, non era una costruzione mentale, non era dovuto a droghe, non era dovuto assolutamente a nulla e non mi ero sbagliata. [...] Io distinguo perfettamente quella che è un'immagine mentale da quella che è un'immagine emotiva e da quella che è stata quella esperienza lì che non è né mentale né emotiva; è, inoltre, assolutamente diversa dal sogno".

Anche Giorgio, rimasto in coma 19 giorni, raccontando la sua Nde indotta da un incidente d'auto, l'ha descritta come un viaggio in "Paradiso". Nel suo racconto usa il termine "sogno" solo perché non ha altre parole per comunicare ad altri la sua esperienza: "Posso dire che è come se fosse stato un sogno ma in realtà è come se fosse stato vero".

Oltre al senso di realtà, di chiarezza e lucidità più vicino allo stato di veglia che di sogno, un'altra variabile che esclude sovrapposizioni tra stato onirico e l'Nde è che questa esperienza la si ricorda per tutta la vita, resiste all'oblio, ciò che invece non accade nel caso dei sogni.

Le ipotesi esplicative, sia quella del sogno, che tutte le altre (allucinazione, esperienza mistica, stress neurologico da ipossia, visioni archetipiche, estasi indotta da overdose di endorfine, ecc.), risultano deboli e non esaustive, perché sono viziate da un preconcetto tacito o esplicito: l'Nde viene considerata come un'esperienza unitaria, coerente e nel migliore dei casi come uno stato alterato di coscienza. Invece è plausibile che si debba modificare questa visione da montaggio "cinematografico" che si ha dell'Nde. Anzi, il montaggio eseguito dal soggetto narrante, viene complicato dall'opera di "ri-montaggio" da parte dello studioso che cerca generalizzazioni e visioni unitarie. Se invece iniziassimo a considerare l'Nde non come "uno" ma come la sequenza (possibile, ma non necessaria, o comunque senza rigida stadiazione) di "stati" modificati e discreti di coscienza, avremmo la possibilità di circoscrivere e comprendere il fenomeno dell'Nde entro una cornice ben precisa che vada a contrapporsi alle vaghe e, spesso contraddittorie definizioni formulate dai vari autori. Per lo studio dell'Nde potremo allora avvantaggiarci dei modelli, delle procedure di ricerca e delle conoscenze già acquisite nella ricerca generale sugli stati modificati di coscienza. Potremo allora effettuare analisi fenomenologiche, formulare ipotesi limitate e focalizzate su ogni singolo e discreto stato di coscienza indotto dalla prossimità (oggettiva o soggettiva) della morte. Fino ad ora, infatti, tutte le ipotesi, da quelle meccanicistiche a quelle psicodinamiche, da quelle transpersonali a quelle metafisiche, si sono dimostrate deboli proprio perché spiegavano "parti" di una esperienza ritenuta "unitaria", gestalticamente coesa, discreta, come il sogno, l'orgasmo, l'estasi, ecc. Raggruppando la fenomenologia e i vissuti dell'Nde in modo da distinguere ognuno dei clusters risultanti come distinti e discreti stati di coscienza, sarà possibile rivisitare le ipotesi eziologiche e rendersi conto che non sono poi tutte da espungere. Non è detto, inoltre, che una ipotesi meccanicistica valga più di una psicodinamica o transpersonale, è solo questione di livelli di analisi (Venturini, 1995), un sogno può essere al tempo stesso il prodotto della stimolazione di particolari neurotrasmettitori, la soddisfazione allucinata di un desiderio o un messaggio dalle "bande" transpersonali.

Dunque, pur considerando, in accordo con William James, lo stato di coscienza come un flusso continuo, suggeriamo di raccogliere tutti i possibili vissuti di una Nde in tre fondamentali stati modificati di coscienza:

Stato dissociativo: fenomenologicamente caratterizzato da uno stato di dissociazione emotiva fino all'autoscopia.

Stato implosivo: fenomenologicamente caratterizzato da regressione, memoria panoramica e comprensione "cosmica" o illuminazione.

Stato relazionale: fenomenologicamente caratterizzato dalla percezione di luce intensa, sentimenti di amore e incontri con "esseri di luce" o con parenti e amici defunti.

A tali stati va aggiunto quello che chiameremo "passaggio" e che, in realtà, può essere considerato non tanto come uno stato di coscienza discreto, quanto un momento di transizione tra i tre (di solito tra il primo e il secondo). Il passaggio è fenomenologicamente caratterizzato dalla sensazione di attraversare un tunnel buio a grande velocità o dalla sensazione transitoria di oblio totale oppure di varcare un cancello, un muretto di confine, una soglia, ecc.

Per ognuno dei tre stati, si possono discriminare e analizzare i vissuti che le persone hanno raccontato più di frequente, adottando come griglia di lettura il modello di Charles Tart sugli stati alterati di coscienza. In accordo con la "teoria dei sistemi" da lui adottata, Tart (1975) ritiene che ciascuno stato di coscienza (discreto) non vada considerato come costituito da un insieme di funzioni psicologiche isolate, ma come un sistema, cioè "una configurazione interagente, dinamica di componenti psicologiche che eseguono varie funzioni in ambienti che cambiano notevolmente" .

Dunque, il tipo di ambiente (fisico e culturale) in cui il soggetto è immerso, insieme alla configurazione assunta dalle parti che compongono il sistema-coscienza (sottosistemi), determinano la differenza di caratteristiche assunte dai diversi stati di coscienza.

Tart elenca dieci sottosistemi fondamentali; essi garantirebbero il processo di elaborazione delle informazioni in arrivo dall'esterno e dal corpo e l'organizzazione delle risposte motorie e comportamentali ad esse. Infatti il funzionamento di tali sottosistemi nell'ambito di una determinata gamma di valori, che Tart definisce "previsti e appresi", favorito da tutta una serie di processi di stabilizzazione, consentirebbe al soggetto di rimanere e di funzionare in uno stato di coscienza ordinario.

I dieci sottosistemi sono i seguenti:

  1. esterocezione;
  2. enterocezione;
  3. elaborazione dell'input;
  4. memoria;
  5. subconscio;
  6. valutazione e decisione;
  7. emozioni;
  8. senso dello spazio e del tempo;
  9. identità;

10. output motore;

Una griglia di lettura alternativa potrebbe essere quella delle "caratteristiche fondamentali" degli stati modificati di coscienza, identificate da Arnold Ludwig (1966) sulla base dei suoi studi di numerosi e vari stati di coscienza. Per buona parte, queste caratteristiche rispecchiano alcuni sottosistemi di Tart:

  1. alterazioni del pensiero;
  2. disturbi nel senso del tempo;
  3. perdita del controllo;
  4. cambiamenti nell'espressione emotiva;
  5. cambiamenti dell'immagine corporea;
  6. distorsioni percettive;
  7. cambiamenti nel significato o senso;
  8. senso dell'ineffabile;
  9. sentimenti di rinnovamento;

10. ipersuggestionabilità.

Non è nostro intento elencare qui uno per uno tutti i vissuti, le sensazioni, le percezioni dei tre stati dell'esperienza di pre-morte, leggendoli attraverso la lente della teoria degli stati modificati di coscienza di Tart o di Ludwig. Viceversa, se volessimo considerare l'Nde come un unico stato di coscienza, la lettura attraverso le griglie sarebbe affatto chiarificatrice; ci troveremmo, ad esempio, nell'ambito di un medesimo racconto di un'Nde, a dover collocare in una singola categoria della griglia, anche tre vissuti differenti. In tal modo la griglia non ci aiuterebbe a discriminare e quindi non potremmo confermare la discretezza dello stato di coscienza. Ad esempio, considerando la categoria: "cambiamenti dell'immagine corporea", notiamo che in una stessa Nde si può passare da un vissuto di dissociazione dal corpo fisico (autoscopia), alla sensazione di essere tornato fisicamente bambino, al vissuto di un corpo di luce o globulare. È evidente la difficoltà a considerare come appartenenti ad un unico stato di coscienza vissuti corporei tanto dissimili; mentre risulta tutto più chiaro se considerassimo i tre vissuti come appartenenti a tre diversi stati di coscienza, che, sebbene raramente, possono configurarsi in sequenza. Al momento del racconto dell'esperienza vissuta, per un processo simile a quello della revisione secondaria dei sogni, i vari vissuti dei tre stati (più quello del "passaggio") verrebbero percepiti come appartenenti ad un'unica sequenza, come episodi di un unico film, e quindi modellati e interpretati simbolicamente a seconda della cultura

di chi ha ritenuto di aver "vissuto la propria morte".

                      Che cos'è la Coscienza?
di Bruno Severi

Per meglio chiarire questa domanda presento alcune riflessioni del Prof. Emilio Servadio. "Ci sono varie definizioni a seconda del punto di riferimento che assumiamo. È l'avvertire la presenza di qualche cosa allo spirito" ci dice un dizionario enciclopedico. È un'istanza sensoriale, discriminativa di qualità psichiche" ci suggerisce un manuale di psicologia dinamica. È il correlato soggettivo di certe attività encefaliche" ci propone un testo di neurologia. In verità, essere coscienti di qualche cosa è un esperienza che tutti conosciamo, ma di cui non è possibile dare una definizione riduttiva. Possiamo ammettere l'esistenza di un inconscio o di un preconscio, ossia di atti psichici non coscienti: ma non possiamo pensarli o menzionarli o descriverli se non in termini di coscienza. Nei fenomeni di percezione extrasensoriale molto si svolge probabilmente a livelli non coscienti, ma noi ne possiamo parlare solo al momento in cui la coscienza ce li rivela. Altrimenti rimarranno per sempre fuori, appunto, dalla nostra coscienza.
Ma per coscienza normale che cosa dobbiamo intendere? Per un occidentale non troppo nevrotico o pazzo, essa è lo stato psichico in cui ci troviamo abitualmente quando siamo svegli. Essa, inoltre, nel corso della giornata, può subire sensibili oscillazioni di intensità pur rimanendo sempre una coscienza di veglia. Sappiamo che presso certe popolazioni primitive la possibilità di sperimentare stati diversi di coscienza (come ad esempio essere posseduti da un dio o da uno spirito) è considerata del tutto normale, mentre appare abnorme la nostra posizione al riguardo. Questo era opportuno ricordarlo perché non si prenda come ottimale quello stato di coscienza a noi più noto e consueto".

Lo spettro delle potenzialità umane
Dal momento della nascita ogni uomo trova davanti a sé una gamma vastissima di potenzialità da sviluppare. Ad esempio, la capacità di poter correre i 100 m. in 10 sec. di imparare la matematica e le lingue straniere e probabilmente anche quella di usare certe facoltà psi. Tuttavia, ogni individuo nel corso della sua esistenza svilupperà solo una piccola frazione di ciò che potenzialmente è in grado di fare. Ciò dipende dal fatto di essere nato entro una certa cultura, in un determinato periodo storico, in un posto piuttosto che in un altro, di avere determinati genitori, insegnanti ed amici, ed anche da una vasta serie di fattori casuali.

All'interno di ogni contesto umano si forma un atteggiamento comune secondo il quale è bene sviluppare certe potenzialità e soffocarne invece altre. Un bambino in età scolare avrà già prefissate, entro certi limiti, molte delle sue future mete e aspettative. Chi diverge da questi binari, tacitamente riconosciuti da tutti come invalicabili, verrà emarginato, condannato o curato come un pazzo. Anche le potenzialità della nostra coscienza sono numerosissime, ma soltanto alcune di esse sono favorite ed impiegate, mentre di tante altre non ne fa uso o perché sono inibite, o perché non si sa della loro esistenza, o perché si sono atrofizzate per il disuso. Alcune di esse però sono solo latenti ed aspettano gli stimoli appropriati per emergere (Tart).

Definizione degli Stati Alterati di Coscienza
Si usano diversi sinonimi per indicare gli stati alterati di coscienza (ASC, dall'inglese "Altered States of Consciousness"). Alcuni preferiscono parlare di stati modificati di coscienza perché il termine alterati può dare l'impressione che si tratti di stati patologici. Altri studiosi suggeriscono di parlare di altri stati o di stati attentivi interni. Poiché la definizione più impiegata è quella di stati alterati di coscienza (d'ora in poi ASC) senza implicare, con questo termine, necessariamente alcuna patologia, a questa definizione mi atterrò nella presente trattazione. Anzi, cercherò di evitare di parlare di quelle situazioni che sono chiaramente o prevalentemente patologiche.

Tutti gli ASC hanno avuto un ruolo fondamentale nell'influenzare la nascita e l'affermarsi di movimenti religiosi, filosofici e culturali. Il sogno e tutte quelle esperienze un po' misteriose come l'estasi, la trance, l'ipnosi, l'uso di sostanze psicotrope, etc., sono conosciuti in tutte le epoche e in tutte le parti del mondo come porta d'accesso verso dimensioni diverse dall'ordinario. Uno ASC per una certa persona è quello in cui essa sente chiaramente uno spostamento qualitativo nel modo di funzionare della sua mente. Ci si accorge che essa opera diversamente dal solito. "In una visione generale della psiche si possono considerare gli ASC come momenti comportamentali dell'attività mentale di tipo temporaneo, non stabili, più o meno volontari. Il tutto senza dovere necessariamente implicare il concetto di patologia. Anzi, taluni ASC sembrano esprimere momenti di massima armonia" (Marabini).

È possibile che una persona che sia in uno ASC possa fare scaturire particolari capacità che non sono presenti nel suo normale stato di coscienza. Ad esempio, un sensitivo potrebbe essere in grado di usare certe facoltà paranormali entrando in un particolare ASC ed usarle in qualche modo, cosa che non riuscirebbe a produrre in condizioni normali.

Caratteristiche e mezzi d'induzione
Sebbene gli ASC abbiano tutti molti punti in comune, le loro caratteristiche possono variare a seconda della presenza di vari fattori (Ludwig):

● background culturale
● motivazioni ed attese personali
● particolare procedura adottata
● ambiente, etc..

Tra le caratteristiche che più frequentemente vediamo essere comuni ai diversi ASC ricordiamo:

● alterazione nel modo di pensare
● alterazione del senso del tempo
● perdita di controllo
● diverso modo di apparire delle emozioni
● diversa percezione del proprio corpo
● distorsioni percettive (sinestesia, etc.)
● modificazione del significato delle cose
● senso dell'ineffabile
● ipersuggestionabilità

Gli ASC possono essere provocati da una grande varietà di agenti e di tecniche che interferiscono con il normale flusso degli stimoli sensoriali, con la normale reazione motoria, con il normale stato emotivo e con la normale organizzazione dei processi cognitivi. Le principali modalità di induzione degli ASC sono ( Ludwig):

● Riduzione della stimolazione esterocettiva e/o dell'attività motoria
● Aumento della stimolazione esterocettiva e/o dell'attività motoria e/o dell'emozione
● Aumentato stato di allerta o di coinvolgimento mentale
● Diminuita allerta o rilassamento delle facoltà critiche
● Presenza di fattori somatopsicologici

Alcuni esempi. Si è parlato, all'inizio, del nostro normale stato di veglia. A questo si oppone il sonno, il secondo più comune stato di coscienza caratterizzato da vari correlati neurofisiologici tra cui la comparsa nell'EEG, all'inizio, delle cosiddette onde alfa e poi, nel sonno profondo, delle onde delta. Tutti ormai sanno del sonno REM e del suo rapporto con i sogni. Ciò che interessa particolarmente menzionare è che, contrariamente a quanto prima si pensava, anche negli stati di sonno profondo e senza sogni, esiste una sia pur limitata attività psichica, e pertanto di coscienza. Ma parlare del sonno e dei sogni ci porterebbe molto lontano perché troppo bisognerebbe dire e per questo rimando all'articolo del Dr. Marabini sui Quaderni di Parapsicologia (marzo 1996).

Accenniamo pertanto agli stati di coscienza lievemente alterata che precedono, o seguono il sonno: sono le fasi di sonno ipnagogico e sonno ipnopompico. In entrambi si osserva un rapidissimo alternarsi di immagini, parole, frasi, melodie, di un caleidoscopio di percezioni con una apparente vita autonoma, e sono possibili eccezionali illuminazioni creative o fenomeni paranormali. In definitiva, si riesce a parlare con l'inconscio. Le voci parlano forte o piano, a volte anche in lingua straniera o in un idioma non comprensibile, sempre però a grandissima velocità. In genere la loro velocità, come anche quella delle visioni, non ci permette di poterle ricordare, tuttavia è possibile esercitarsi ad osservare con maggiore attenzione e a trattenere nella memoria questi fuggevoli fenomeni. Lo studioso Van Dusen afferma: "Altre vite sono componenti inconsce della nostra vita. Per ora basti dire che le esperienze che si compiono in questo stato fanno pensare alla presenza di spiriti che agiscono in noi a livello di sensazioni interiori molto profonde".

I sogni lucidi. Avere un sogno lucido significa vivere attivamente all'interno del mondo del sogno, avendo la consapevolezza di sognare e avendo un certo grado di controllo volontario sul corso successivo del sogno. Esso si manifesta di preferenza nel primo sonno o prima del risveglio. Nel sogno lucido si possono fare cose che nella vita reale sono impossibili, come volare o passare attraverso i muri o incontrare esseri che sembrano avere tutte le caratteristiche di entità spiritiche. In questo contesto si possono forse spiegare i fenomeni di bilocazione o di viaggio in astrale. L'Ing. Guido Gardini afferma: "Gli sciamani da sempre hanno praticato il sogno lucido per visitare luoghi lontani e comunicare mentalmente". Il mondo del sogno lucido è un laboratorio interno dove è possibile programmare esperimenti, soluzioni di problemi, costruzioni non ancora tentate. Ci sono varie tecniche per indurre e manipolare i sogni lucidi a nostro piacimento. Chi si è allenato in questa tecnica del sogno lucido giura che i risultati sono entusiasmanti. Si tratta di controllare un proprio stato di coscienza alterato facendone un uso consapevole e, magari, finalizzato.

Nell'ipnosi si provano particolari fenomeni, come percezioni illusorie, amnesie, ipermnesie, e soprattutto uno stato di notevole suggestionabilità rispetto a ciò che viene detto o indicato dall'ipnotizzatore. Secondo certe vedute psicoanalitiche, nell'ipnosi si ha una regressione a stati di dipendenza e di subordinazione di tipo infantile, dovuti a un pronunciato transfert dell'ipnotizzato sulla figura dell'ipnotista. L'ipnosi differisce, anche dal punto di vista neurofisiologico, dal sonno (diverso EEG) e si presta favorevolmente all'induzione di fenomeni extrasensoriali. Può essere auto o etero-indotta.

La creatività. La creatività si accompagna ad uno ASC che sembra invece dipendere da qualità innate di alcune persone. Essa consta in uno modo di vedere, pensare, o agire con il mondo che non solo è nuovo, ma anche migliore di quelli a noi soliti. Quando questi processi inconsci sono creativi possono portare a soluzione difficilissimi problemi che una persona in stato di veglia non riuscirebbe a risolvere. La creazione artistica e letteraria spesso si esprime attraverso intuizioni, visioni ed esperienze che si sviluppano in uno stato modificato di coscienza, oltre che nel sonno e nel sogno. In ogni modo, sembra necessario possedere in modo innato una notevole capacità immaginativa. Anche famosi scienziati hanno fatto notevoli scoperte in uno di questi stati.

La trance da possessione o medianica. Traggo da "Il libro di Ruth" di M. Schatzman una fedele descrizione di questo tipo di trance. Quando un medium si prepara ad una seduta con un cliente, in genere comincia con il chiudere gli occhi standosene tranquillo sulla sua sedia. Poco dopo comincia a respirare profondamente, a russare leggermente e a dimenarsi, e in generale a comportarsi come una persona addormentata in un sonno profondo ma agitato e turbata da un sogno alquanto angoscioso. Nel giro di pochi minuti, di norma, diventa più calmo e spesso si sente una specie di bisbiglio continuo, come se stesse parlando con se stesso. Poco dopo comincia a parlare in modo udibile, spesso con una voce e una forma diversi, e a volte anche con un vocabolario differente da quelli che sono caratteristici della sua normale conversazione da sveglio. Manifestamente la personalità normale del medium ha smesso di controllare i suoi organi vocali, e una nuova personalità ne ha assunto il controllo. La nuova personalità può portare avanti una conversazione di un'ora e anche più con il cliente. Alla fine dice che deve andare e dà l' arrivederci. Il processo con cui la seduta era iniziata viene allora ripetuto in ordine inverso. In qualche minuto, dopo una certa dose di contorcimenti, di gemiti e di bisbigli, gli occhi sono di nuovo aperti e il medium riassume la sua voce e i suoi modi normali. In genere ignora ciò che è accaduto durante la seduta, come una persona che ha parlato nel sonno ignora quello che ha fatto e detto. Da uno studio di Nelson (1970), durante lo stato di trance 9 medium su 12 mostrarono all'EEG alterazioni focali del lobo temporale del cervello. Tali alterazioni, di solito, sono comuni negli attacchi epilettici e nella schizofrenia, ma questo non implica che i medium ne siano affetti.

La meditazione. Per svolgere le nostre normali attività quotidiane abbiamo bisogno di un costante e determinato corredo di stimoli sensoriali. Se veniamo privati di questa soglia minima percettiva, allora possiamo fare esperienza di ASC. È come se la mente creasse la sua realtà nel momento in cui la realtà esterna viene esclusa. Gli asceti, e coloro che si vengono a trovare, volontariamente e non, per un certo tempo in condizioni di basso livello di stimolazione sensoriale, possono sperimentare il processo della meditazione.

La meditazione è il tentativo di sospendere temporaneamente l'attività concettuale, di escludere ogni elaborazione delle varie informazioni che arrivano al cervello, di evadere dal mondo esterno. Il risultato di questo processo è che quando ritorniamo al nostro stato normale vediamo le cose in modo diverso, rinnovato rispetto a prima .

La maggior parte delle tecniche meditative comporta una stimolazione monotona favorita da una posizione fissa e da un pensiero reiterato (su una parola o un mantra, un'immagine visiva, la concentrazione sul proprio respiro, etc.). Lo stato meditativo può essere raggiunto anche assumendo un atteggiamento passivo e recettivo, cercando di svuotare la mente da ogni pensiero. Qualunque cosa accada, non bisogna lasciarsi coinvolgere da niente ma occorre mantenere un atteggiamento distaccato e lontano. Si entra così in uno stato di attenzione conscia non legata ad alcun pensiero che ci porta a vedere ciò che succede fuori da noi come se fossimo solo degli spettatori distanti. Con entrambe le tecniche si ottiene, dopo un certo allenamento, un isolamento sensoriale che può indurre visioni allucinatorie o una percezione del nostro corpo del tutto anomala.. Al punto estremo viene a mancare la distinzione tra io e non io Perdita del senso di identità). Questa situazione può comportare una identificazione con l'oggetto della meditazione o un senso di fusione con l'universo o un senso di assorbimento in Dio. Si può anche fare l'esperienza dell'OBE. Anche altre pratiche diverse dalla meditazione sembrano a volte indurre gli stessi effetti.

Estasi mistica ed estasi chimica. Lo psichiatra Abraham Maslow condusse uno studio su individui che avevano avuto esperienze mistiche che lui indicò come "peak experiences" (esperienze di picco). Nella psichiatria tradizionale le esperienze mistiche di ogni genere sono solitamente trattate nel contesto di una psicopatologia grave. Nel suo studio, Maslow dimostrò che le persone che avevano avuto "peak experiences" di solito ne traevano vantaggio e dimostravano una netta tendenza ad autorealizzarsi. Esse erano in grado di affrontare le avversità in modo molto più creativo e costruttivo, si mostravano maggiormente distaccati dagli aspetti più materiali della vita (guadagno, carriera, gelosie, invidie) e più aperti verso i valori fondamentali. Anche la morte perdeva buona parte della sua carica di paura. Egli suggerì che tali esperienze potevano essere supernormali, invece che anormali, e su queste considerazioni gettò le basi di una nuova psicologia (la psicologia transpersonale).

Tra i fattori che possono indurre l'esperienza mistica importanti sono:

● le droghe
● il digiuno
● la febbre elevata
● l'eccitazione
● la fatica
● l'alterazione della respirazione
● intense emozioni, etc..
● Si producono anche quando il normale stato di attenzione conscia viene sostituito da:

sogno ad occhi aperti

● fantasticherie
● meditazione
● sonnolenza
● sogni onirici
● preghiera intensa

Differenze con la trance da possessione (Rouget G.)

Nell'estasi si sperimenta un rapporto molto intimo e nuovo con l'universo (estasi cosmica), o con Dio (estasi mistica). Si sente che tutte le cose sono tra loro collegate, si scoprono nuovi significati nel mondo attorno a noi. Perdono valore i fatti che fino a quel momento ci erano sembrati importanti. Si prova un estremo senso di euforia e di gioia incontenibile sino a farci piangere copiosamente. Spesso sparisce la paura della morte. Si percepisce il mondo come attraverso nuovi organi di senso. I colori, i suoni, etc, sembrano più vividi e penetranti, con nuove caratteristiche mai prima sperimentate.                                                                                           Nell’ènstasi  parimenti, ma non c’è  proiezione , bensì introiezione.

Nel corso delle loro pratiche ascetiche, i cultori dello yoga possono sospendere i battiti del loro cuore, contrastare la peristalsi intestinale ed altri movimenti involontari, e ridurre quasi a zero il loro metabolismo, sino a giungere a stati comatosi. Anche gli stati mistici, in passato considerati come espressione di grave patologia mentale, iniziarono ad essere guardati con occhio più benevolo dagli uomini di scienza.

Le sostanze come l'LSD, la psilocibina e la mescalina sono chiamate in America psicolitiche (che liberano la mente) e, in Europa, psichedeliche (che aprono o dilatano la mente). Esse non sono narcotici, sedativi o stimolanti, ma hanno l'unico effetto sulla psiche umana di renderla consapevole di forme di coscienza e di contenuti che di solito sono nascosti o inconsci.

Secondo lo psichiatra cecoslovacco S. Grof, i contenuti dei viaggi psichedelici da droghe (in particolare da LSD) sono di 4 tipi:

1. estetici, costituiti in genere da visioni di tipo geometrico o paesaggistico;
2. biografici, in quanto ci riportano alla coscienza avvenimenti, spesso angosciosi e dimenticati, del nostro passato;
3. perinatali, che ci ripropongono in forma simbolica le fasi e i traumi della nostra nascita;
4. transpersonali, che sono quelli a contenuto più ricco e sconvolgente perché sembrano portarci in una nuova dimensione esistenziale.

Ricordiamo, però, che gli esiti di queste esperienze psichedeliche non sono mai costanti e prevedibili, ma risentono moltissimo dei condizionamenti psicologici, culturali e ambientali a cui è sottoposto il soggetto che assume la droga. Gli effetti sperimentati dipenderanno pertanto da:

● la sua cultura di base
● la sua personalità
● le sue aspettative
● la sua vulnerabilità fisiologica verso quella determinata droga
● le sue precedenti esperienze
● la sua disponibilità a lasciarsi andare
● come è stata predisposta la seduta
● con chi, etc.


Come già ricordato, le sostanze psichedeliche ci possono portare nei meandri più nascosti della nostra mente e del nostro inconscio. E quello che laggiù incontreremo potrà essere di celestiale bellezza o popolato di terrifichi mostri, e tutto questo dipenderà in gran parte da noi.

Considerazioni psicofisiologiche
Lo psichiatra americano Roland Fischer, in uno splendido articolo comparso sulla rivista Science nel 1971 dal titolo: "A Cartography of the Ecstatic and Meditative States", collega gli stati di coscienza a livelli di attivazione del sistema parasimpatico ed ortosimpatico. L'elemento determinante per il passaggio da uno stato di coscienza all'altro è espresso dalla velocità di elaborazione del cervello. In altri termini, cambiare la velocità di lavoro del cervello significa cambiare stato di coscienza. Per cui, come lo stato ordinario di coscienza è rappresentato da un equilibrio ottimale tra le informazioni che il cervello riceve e quelle che elabora, così, se tale equilibrio viene a mancare, ecco che si possono manifestare stati non ordinari di coscienza. Se la velocità di elaborazione aumenta, lo stato coscienziale si colloca lungo un continuum percezione-allucinazione che comprende: lo stato di veglia normale; lo stato di creatività; l'ansia; uno stato schizofrenico acuto simile a quello patologico senza essere per niente patologico; la catatonia (quando tutto il sistema si blocca); l'estasi mistica. L'estasi, nello schema di Fischer, è lo stato di massima velocità di lavoro del cervello. In questo stato la coscienza non riceve più dati sensoriali dall'esterno per cui, non avendo più alcun materiale in arrivo, essa può analizzare, in un certo senso, se stessa. Se invece la velocità di elaborazione diminuisce, la gamma degli stati di coscienza si sposta verso un continuum di percezione-meditazione comprendente: lo stato di veglia rilassata; lo stato di rilassamento profondo intenzionale e, dopo un ampio intervallo, i vari gradi della meditazione sino al Satori del buddhismo Zen e al Samadhi dello Yoga. Questa parte della mappa comprende importanti aspetti della religiosità orientale. Entrambi i percorsi sono caratterizzati da una graduale interiorizzazione, passando da una dimensione fisica (immagini sensoriali in ingresso) ad una mentale o interiore. Dalla rilevazione dei parametri fisiologici e biochimici si può dire in quale stato si trovi il soggetto in esame o, almeno, su quale dei due percorsi indicati da Fischer esso sia localizzato. Dallo schema che compare nell'articolo di Fischer, si vede come i due percorsi, partendo dal medesimo punto che è lo stato di veglia, si dividano per seguire due direzioni diametralmente opposte. Alla fine di ciascun percorso, si arriva comunque alla stessa meta dove ognuno di noi può, se si realizzano certe condizioni, venire a contatto con il proprio Sé.

ASC e ESP
Gli ASC rappresentano un importantissimo campo di interesse per i parapsicologi perché molti dei cosiddetti casi spontanei suggeriscono che i fenomeni paranormali possano operare in modo efficace quando il soggetto si trova in uno di tali stati. A quanto pare, l'ESP è un processo inconscio e le impressioni che in un primo momento riceviamo inconsciamente devono farsi strada verso la coscienza e ciò avviene principalmente sotto forma di presagi, sogni, visioni e perfino di allucinazioni. Queste sono le modalità più importanti di cui si serve l'inconscio per portare i suoi contenuti alla mente e ciò avviene particolarmente con l'ipnosi, il sogno e l'isolamento dei sensi. Infatti, solo dopo aver chiuso fuori il mondo esterno e il suo costante assalto ai nostri sensi (Ganzfeld), ci accorgiamo della presenza di messaggi ESP. Le sostanze stupefacenti sono state usate a questo scopo da secoli. In particolare, le sostanze psichedeliche ci avvolgono in visioni ed emozioni che sgorgano molto in profondo. È veramente possibile che gli allucinogeni potenzino l'ESP? Diversi resoconti di esploratori e di studiosi presso popoli primitivi e numerosi risultati sperimentali farebbero pensare di sì, ma tale rapporto è ancora insufficientemente studiato.

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