L’Advaita Vedanta rappresenta il culmine del pensiero induista. Questa filosofia nasce direttamente dalle esperienze dei grandi mistici indoariani che 4.000 anni fa scrissero i Veda e successivamente le Upanishad. Vedanta significa appunto aderente al genuino insegnamento dei Veda, mentre Advaita significa “non dualista”. Il primo codificatore di questa dottrina fu Shankara nell’800 d.C. circa.
Ricordiamo che nell’Induismo il termine Atman indica l’anima individuale, mentre il termine Brahman indica il Principio Supremo, privo di qualsiasi forma o definizione (“neti, neti” cioè “non questo, non quello”).
L’Advaita Vedanta proclama semplicemente l’identità dell’Atman con il Brahman e l’illusorietà di tutto il mondo sensibile: sia l’universo fenomenico, sia la nostra coscienza, sia il corpo, che le nostre esperienze, sono realtà illusoria. Compito dell’Uomo è di rompere l’illusorio velo di Maya e prendere coscienza di questa identità (illuminazione).
L’Uomo dunque, per l’Advaita Vedanta, è proprio come il prigioniero del “Mito della caverna” di Platone che scambia le ombre proiettate sul muro per la realtà: lontano dalla luce ed immerso nelle ombre di una pseudorealtà.
I Rishi (saggi asceti indù) si ritiravano in solitudine nella foresta per meditare ed ottenere la consapevolezza dell’identità di Atman e Brahman. I risultati delle loro esperienze sono appunto i Veda:
“Tat tvam asi”,
ciò tu sei, si legge nella Chandogya Upanishad scritta 1000 anni prima di Cristo a commento dei Veda.
600 anni prima di Cristo Gautama Siddhartha il Budda per la prima volta rese pubblica la via per raggiungere tale illuminazione per cui molti induisti genuini giudicano il Buddismo come un’eresia dell’Induismo, ma su questo ci sarebbe molto da discutere.
Riporto alcuni passi molto significativi tratti dalle Upanishad, relativi all’Advaita Vedanta:
“Questo supremo Brahman, atman universale, immensa dimora di tutto ciò che esiste, più sottile di ogni cosa sottile, costante: in verità è te stesso, perché Ciò Tu sei ” (Kaivalya Upanishad, I, 16).
“Quando si è conosciuto l’Atman supremo, che riposa in un posto nascosto, senza parti e senza dualità, quale Testimone, esente dall’essere e dal non-essere, si perviene alla condizione dell’atman universale” (Kaivalya Upanishad II, 23-24).
“Questo Atman non può essere appreso mediante insegnamento, né mediante sacrificio, né mediante molte lezioni … Questo Atman non è conseguibile per colui che manchi di determinazione, che ceda alle illusioni, o compia una ascesi irregolare”. (Mundaka Upanishad, III, II, 3 e 4).
“Colui il quale conosce questo supremo Brahman, costui diventa il medesimo Brahman” (Mundaka Upanishad, III, II, 9).
“Attraverso il solo studio delle scritture o con l’erudizione non si può realizzare l’Atman, e nemmeno tramite l’intellettualismo e i dibattiti in aula” (Katha Upanishad, I, II, 23).
“Il saggio, dopo aver studiato i trattati della conoscenza religiosa e profana, abbandoni completamente tali trattati, come colui che cercando il seme abbandona la scorza” (Brahmabindù Upanishad,18).
“Si deve fermare la mente nel cuore fino a quando non sia resa al silenzio: questa condizione costituisce la vera conoscenza e la Liberazione, tutto il resto non rappresenta altro che letteratura verbosa” (Brahmabindù Upanishad, 5).
“Sì, conosco solo i testi sacri, venerabile maestro, ma con ciò non conosco il Sé (Atman). Da grandi maestri come te ho appreso che l’uomo che conosce il Sé supera ogni dolore. Io mi trovo in uno stato di dolore. Vogliate compiacervi, venerato maestro, di farmi superare ogni dolore” (Chandogya Upanishad, VII, I, 3).
“Tutto ciò che hai studiato non é che un insieme di parole” (Chandogya Upanishad, VII, I, 3).
“In un buio spaventevole entrano quanti vivono nell’ignoranza, ed in un buio ancora peggiore quanti hanno solo una conoscenza teorica” (Svetasvara Upanishad, IV, IV, 10).
“È attraverso la conoscenza superiore che raggiungeremo l’informale. La scienza divina ci svela la conoscenza di quella realtà che trascende i sensi, rivela il principio, la causa incausata di tutto, l’Uno che non ha forma né nome” (Mundaka Upanishad, I, I, 6).
“Privo di suono, senza forma, intangibile, non decadibile, senza sapore e odore, senza inizio e fine, immutabile, eterno, trascendente tutta la natura, ineffabile. Coloro i quali possono realizzarlo, ed essi solamente, sono liberi dalle fauci della morte” (Katha Upanishad, I, III, 15).
“Realtà, Conoscenza, Infinito sono Brahman. Nel mondo delle cose periture: nome, forma, tempo, spazio, causalità; quello che non perisce é l’Imperituro. Colui che dimora eternamente anche al di la del nome, della forma, del tempo-spazio e della causalità, e che viene designato con la parola Quello, ha nome Atman supremo. Io non posso esser scorto sotto le forme dello spazio, del soffio vitale e altre limitazioni. Sono libero dalla forma, dal nome e dall’azione. Sono il Brahman, fatto di Esistenza, Coscienza e Beatitudine. Questa é la Reale Scienza” (Sarvasara Upanishad).
Tratto da: Giuseppemerlino's Blog